Geoeconomia dei datacenter

Articolo pubblicato sul Sole 24 Ore il 21 novembre 2025


Le infrastrutture richiedono tempi lunghi ma accelerano il mondo. E nessuna regione sta vivendo questa esperienza quanto l’Asia. Da Shanghai a Shenzen, da Singapore a Dubai e Ryihad, i viaggiatori dotati di memoria storica non cessano di raccontare i segni di una spettacolare modernizzazione urbanistica. Le strade bianche di Singapore e le case dei pescatori di Shenzen sono scomparse in quarant’anni nell’invasione dei grattacieli. I leader che hanno guidato quei cambiamenti hanno privilegiato la visione del futuro tecnologico alla salvaguardia delle tradizioni. E partendo da qui, l’enorme Asia, dal Medio Oriente al Pacifico, passando per l’India di Bangalore e Mumbai, affronta oggi la frontiera più avanzata dell’intelligenza artificiale.

Vista dall’Asia, l’Europa sembra separata da un intervallo spazio temporale. Si muove a una velocità diversa. Racconta un futuro meno spettacolare. Succube delle sue divisioni e della dipendenza dalla potenza militare americana, consente agli altri di considerarla debole e declinante. La realtà è più complessa. Non è migliore, forse, ma merita un impegno interpretativo più articolato.

I dati sugli investimenti vanno usati con prudenza. Goldman Sachs calcola che quest’anno la Cina investa 70 miliardi nelle infrastrutture per l’AI, un quinto degli Stati Uniti e, comunque più dell’Europa che secondo alcune stime resta prossima ai 40 miliardi. Ma i dati europei sono controllati, quelli cinesi non sono ufficiali e quelli americani scontano una sospetta circolarità, con investimenti incrociati tra aziende per miliardi di dollari. Intanto, il dibattito sul comportamento in borsa dei titoli delle aziende che si occupano di AI non cessa di alternare euforia e paura. I conti di Nvdia, produttrice dei super chip necessari alle reti neurali, dimostrano che durante una corsa all’oro il business migliore è vendere i picconi. Ma il valore dell’oro artificiale è ancora da dimostrare. L’economista e premio nobel Daron Acemoglu ha messo in guardia sulla capacità dell’AI di aumentare la produttività. La Goldman Sachs ha parlato di bolla speculativa. E altri scettici si sono fatti sentire. Ma il profitto non è il solo criterio di valutazione. Il fondatore di Amazon, Jeff Bezos, lo dice chiaramente: quella dell’AI è una bolla speculativa buona che ha conseguenze concrete. Perché c’è una geoeconomia dell’intelligenza artificiale. Che non si legge nei dati sulla produttività, ma nel controllo delle infrastrutture strategiche.

Gli investimenti in intelligenza artificiale sono fatti di mega archivi per la raccolta di grandi moli di dati, di giganteschi modelli e di datacenter. Alla base occorre finanziare fortemente la ricerca e l’istruzione. Il che alimenta l’offerta prima che la domanda si sia manifestata. È un classico delle infrastrutture, ma quelle che servono all’AI fanno di più: costuiscono un mercato interno, espandono i servizi internazionali, sostengono l’innovazione, garantiscono il controllo nazionale sui dati e servono al posizionamento militare.

Le considerazioni economiche insomma non bastano. Non è un caso che le BigTech americane chiedano la deregolamentazione dell’AI proprio per garantire agli Stati Uniti un predominio sulla Cina anche in campo militare. La geoeconomia si intreccia con la geopolitica. Il potere nel mondo si costuisce con la tecnologia, la finanza, la narrazione. L’Asia, l’America, l’Europa condividono il contesto ma divergono nell’interpretazione. Dopo il caso di Deepseek i cinesi tendono a credere che la quantità di chip necessaria a prevalere sugli americani sia meno importante dell’intelligenza dei suoi ingegneri. Gli americani continuano a dire che la loro vittoria si costruisce sul gigantismo dei finanziamenti alle aziende. Gli europei devono recuperare scegliendo le priorità. Se i grandi modelli infrastrutturali sono stati fatti dagli americani e dai cinesi, l’Europa può forse concentrarsi sull’AI applicativa, quella che sta nei prodotti e nelle filiere cognitive che li arricchiscono di valore. E sui prossimi balzi tecnologici. Del resto, finché dipende militarmente dagli Stati Uniti il grande gioco geopolitico strategico le è precluso. E mentre si dà un piano decennale per rendersi autonoma, può intanto rafforzare la sua base industriale. Il suo punto di forza strategico.