La visione di Marietje Schaake sul tecnopotere

Le BigTech hanno troppo potere. È questa la convinzione dalla quale parte il libro di Marietje Schaake che non per nulla si intitola, drasticamente, “Il colpo di stato delle BigTech”. Un libro che si sviluppa soprattutto sul crinale del rapporto tra quel potere e la tenuta della democrazia. Tanto che il sottotitolo è “Come salvare la democrazia da Silicon Valley” (FrancoAngeli 2025, versione originale 2024).

Marietje Schaake è stata un’appassionata e seguitissima parlamentare europea, eletta nelle liste del partito liberale olandese, tra il 2009 e il 2019. In seguito ha partecipato al Cyber Policy Center della Stanford University e insegnato politica internazionale allo Stanford Institute of Human-Centered Artificial Intelligence. Scrive sul Financial Times e fa parte dell’organo consultivo delle Nazioni Unite sull’intelligenza artificiale. Nòva l’ha sentita in videochiamata e poi incontrata al Summit di Le Grand Continent. Da quando è stato scritto il libro a oggi l’importanza della sua tesi non ha fatto che crescere. Da Asma Mhalla a Yanis Varoufakis, da Cédric Durand allo stesso Steve Bannon, gli intellettuali che hanno lavorato sull’eccesso di potere delle BigTech non hanno smesso di analizzare la situazione parlando di tecnofeudalesimo e tecnopolitica. Giuliano da Empoli ha raccontato in varie opere il nuovo potere emerso nel nuovo millennio e, nell’ultimo libro, ha usato il termine “predatori” per definire l’atteggiamento dei potenti all’epoca dell’intelligenza artificiale.

Schaake osserva come le BigTech abbiano consentito ai loro proprietari di accumulare ricchezze straordinarie. Il funzionamento delle loro tecnologie ha interferito con le logiche della democrazia e contribuito a polarizzare le opinioni. I loro proprietari, complessivamente, hanno portato avanti un’agenda politica orientata a proteggere i loro business da qualsiasi forma di responsabilità. Intanto, molti politici e diversi governi diventavano dipendenti dalle loro tecnologie. 

Schaake ha studiato a lungo il potere delle BigTech che concentrano quantità enormi di informazioni su miliardi di persone. E ha approfondito il ruolo delle tecnologie di sorveglianza capillare, come Pegasus, che riescono a intercettare qualsiasi comunicazione, trasformando ogni telefonino in uno strumento per ascoltare, filmare e registrare tutto. È perfettamente consapevole della profondità delle conseguenze del successo delle BigTech sulla forma della società. E le sue convinzioni non hanno fatto altro che accentuarsi da quando, all’inizio del 2025, il tecnocapitalisti si sono schierati al fianco del presidente americano Donald Trump, lasciando che la foto della loro partecipazione all’inaugurazione della nuova amministrazione ne diventasse in un certo senso il simbolo. «Sono imprese che gestiscono fette sempre più grandi della nostra vita digitale» scrive Schaake che denuncia la conseguente «erosione sistematica della democrazia».

Schaake non è certo una persona che non comprenda o non apprezzi la tecnologia. E sente che la condizione cui si è giunti è sostanziamente un tradimento delle promesse originarie del mondo di internet. Ma non cessa di pensare che le democrazie possano fare qualcosa per riprendere in mano la situazione.

Il libro di Schaake non è un lamento su ciò che è andato perduto. È soprattutto la ricerca di ciò che può essere ancora trovato. Le innovazioni tecnologiche sono necessarie, pensa, ma da sole non possono davvero portare progresso. Nell’epoca dell’intelligenza artificiale «abbiamo bisogno di un’infrastruttura politica più ampia e funzionale al servizio dei cittadini». La ricerca che l’Europa fa da tempo di forme di regolamentazione che salvaguardino l’equilibrio tra i poteri è un percorso difficile ma essenziale. «Ripristinare la governance democratica sui sistemi tecnologici – anziché consentire la governance privata del mondo digitale – sarà di grande aiuto nella costruzione di un mondo più giusto, imparziale, onesto ed equo».

La tradizione delle leggi antitrust è certamente la base del lavoro che si può fare. E così le norme a salvaguardia della privacy. Ma occorrono ormai strumenti regolatori che affrontino i problemi a livello sistemico. Non bastano le leggi fondate sulle singole tecnologie, sostiene Schaake. Occorrono indirizzi che diano allo sviluppo tecnologico un senso orientato al bene comune e che le mantengano all’interno di un quadro democratico. «Attualmente le aziende sono protagoniste di fughe in avanti verso territori non regolamentati e fissano standard e norme attraverso i loro prodotti, sfidando le democrazie» dice Schaake. «Perché la democrazia sopravviva è essenziale capovolgere questo squilibrio di potere».

Certo, le norme possono essere sbagliate e funzionare in modo diverso dal previsto. Ma in fondo questo avviene anche con le innovazioni tecnologiche. Perché non si dovrebbe ammettere che le innovazioni normative hanno lo stesso diritto di sbagliare ed essere migliorate costantemente che è riconosciuto alle infrastrutture tecnologiche? È possibile accelerando la reattività dei sistemi democratici. Ma anche concentrando l’attenzione normativa sulle questioni sistemiche. Schaake individua alcuni campi d’azione: un’estensione del principio di precauzione che serva a valutare il meglio possibile le conseguenze sociali dell’introduzione delle nuove tecnologie, un po’ come si fa nel settore farmaceutico per le conseguenze sanitarie dei nuovi prodotti; una grande attenzione alle tecnologie rischiose per la democrazia, come lo spyware, la compravendita di dati personali, i sistemi di riconoscimento facciale; una focalizzazione sulla trasparenza come pilastro del pubblico interesse; considerare la qualità degli acquisti dello stato come una sorta di incentivazione allo sviluppo di tecnologie socialmente consapevoli e corrette; creare meccanismi di accountability; rafforzare la sfera digitale pubblica e craere uno stack pubblico per mantenere viva un’alternativa alla potenza delle grandi infrastrutture private. 

Schaake, liberale, crede nella costruzione di condizioni abilitanti per la concorrenza e l’innovazione. Si rende conto che i monopoli privati non sono favorevoli all’innovazione normativa e che attualmente alcuni monopoli hanno grande potere. È consapevole, del resto, che il clima politico attuale non è favorevole ai principi che sostiene. Ma crede anche che la politica debba poter coltivare le giuste istanze. Il tempo delle scelte intelligenti non arriva da solo: va cercato. E creato.