Questo pezzo è uscito su Nòva24 il 2 settembre 2012.
La passione, l’amore che Jonathan Ive, il designer della Apple, trasmette quando presenta un nuovo prodotto è una gioia per gli ascoltatori. Maturato negli anni di collaborazione con Steve Jobs, il suo concetto del design industriale, che ha distinto la Apple dai competitori, è stato ispirato dall’esperienza di Dieter Rams, pioniere della scuola "funzionalista" e per più di trent’anni il capo del design alla Braun.
Un vero maestro, Rams, il cui motto – "Weniger, aber besser", cioè "meno ma meglio" – è un mantra alla Apple, perché impone al design l’obiettivo di ricercare l’essenziale, in modo che la forma sia esattamente quella che valorizza la funzione. Quando Ive presenta una sua nuova creatura allude ai percorsi alternativi che ha immaginato prima di arrivare a vedere la soluzione e ad accorgersi che «non poteva che essere così». Dallo schermo con il computer dentro, come l’iMac, alla tavoletta da toccare in modo naturale, come l’iPad: le forme essenziali esaltano le funzioni dell’oggetto.
Portando alle estreme conseguenze questo approccio, si può dire che la forma non è "disegnata" ma "scoperta" attraverso una ricerca che porta alla comprensione dell’essenza funzionale dell’oggetto e che il designer "svela" presentando la sua creazione.
Ma se Ive ha ragione, se cioè un oggetto con quella funzione non può che avere quella forma, allora chiunque altro voglia produrre un oggetto con quella funzione non può che copiare il design di Ive. E questo è stato appunto uno dei crimini contro la proprietà intellettuale commesso, secondo un tribunale californiano, dalla Samsung.
Certo, le funzioni dell’interfaccia inventata dalla Apple per navigare sulla rete mobile erano anche state brevettate in quanto innovazioni tecnologiche. E sono state a loro volta copiate, secondo il tribunale. Ma anche quelle funzioni, almeno in parte, discendevano dallo stesso concetto di design dell’interfaccia: riguardavano, per esempio, il gesto più "naturale" che si possa pensare per zoommare un’immagine su uno schermo. La Apple voleva che il suo iPhone funzionasse con quel gesto "naturale" e l’ha brevettato. Ma se i gesti naturali possono diventare proprietà intellettuale vuol dire che qualcosa sta andando storto.
Intendiamoci. Le regole sono regole e vanno rispettate. I tribunali decideranno chi ha fatto che cosa. La stessa Apple paga le royalty per il "one click" brevettato da Amazon: si tratta del gesto di acquistare online con un solo click del mouse, un altro gesto "naturale" che è diventato proprietà privata. E anche la Samsung avrebbe potuto risolvere i suoi problemi pagando a sua volta le royalty alla Apple, che peraltro è una sua affezionata cliente per le componenti elettroniche dei suoi apparecchi.
Inoltre, bisogna dire che se il verdetto californiano fosse stato opposto e cioè avesse stabilito che la Samsung aveva tutto il diritto di copiare le invenzioni della Apple, si sarebbe avvertito un senso di ingiustizia, simile a quello che Jobs aveva provato quando la Microsoft aveva riprodotto le idee del Macintosh per fare il Windows. Il punto è che la proprietà intellettuale è diventata un campo sofisticatissimo nel quale si intrecciano brevetti e copyright, marchi e segreti industriali, storytelling e pubblicità. Ogni nuova piattaforma digitale è in realtà un mondo di senso, abilitato da funzionalità tecniche ma utilizzato in base a una metafora che a sua volta discende da un’identità e una narrazione e si comprende solo attraverso un design. Non se ne esce facilmente. Tanto è vero che nel caso Apple-Samsung entrambi i possibili verdetti avrebbero appunto suscitato un senso di inquietudine.
Questo caso dimostra che anche per la proprietà intellettuale c’è bisogno di innovazione. Quando la Apple conquista la leadership culturale inventando un genere di prodotto, pone le basi per vendere i suoi gadget ma nello stesso tempo apre nuove strade per la conoscenza comune. Nelle stesse parole di Ive c’è questa consapevolezza. Su quelle strade devono poter camminare anche i futuri innovatori.
Quei futuri innovatori devono avere il diritto di imparare dalla Apple, come la Apple ha imparato dalla Braun di Rams o dallo Xerox Parc. E la Apple deve essere riconosciuta per la sua leadeship culturale. Niente di meno ma non troppo di più.
La storia della nuova proprietà intellettuale sarà scritta da chi troverà l’equilibrio tra il premio per chi ha inventato e la libertà di chi inventerà.