Se siamo nell’economia della conoscenza, il knowledge management dovrebbe essere un elemento cruciale di ogni strategia aziendale. Dovrebbe estendersi dalla progettazione del sistema informativo alla gestione delle risorse umane, dall’investimento in ricerca all’informazione interna, dall’architettura degli spazi di lavoro al metodo con il quale si cerca e sostiene l’innovazione.
Dovrebbe, in realtà, essere un’altro modo per parlare di strategia aziendale. Perché se nell’epoca post-industriale il prezzo riesce a mantenersi superiore al costo, di solito, soprattutto grazie al suo contenuto immateriale, di immagine, informazione, ricerca, design, e così via, allora la generazione di valore e l’investimento in conoscenza dovrebbero essere concetti molto collegati.
Eppure, la nozione di conoscenza sembra sfuggire alla misurazione. Alberto de Toni e Andrea Fornasier, dell’università di Udine, in un testo pubblicato dal Gruppo 24 Ore intitolato appunto "Knowledge management", ammettono che la risposta alla domanda "quanto vale la conoscenza" è in un punto imprecisato tra il "tutto" e il "niente". Forse anche perché la conoscenza non è una materia adatta a un trattamento lineare, come il bilancio.
In un approccio corretto, basato sulla teoria della complessità, si tenta piuttosto di disegnare una mappa. De Toni e Fornasier, in effetti, percorrono i contesti filosofici e storici, intellettuali e pratici, nei quali si trova un punto di vista sulla nozione di conoscenza. Ne emerge, appunto, una mappa che riesce a offrire un’immagine densa e larga della conoscenza aziendale, tale da dimostrarne la strategicità. La storia dell’azienda ne è segnata in modo indelebile.
E sebbene sia assurdo immaginare il modello di gestione della conoscenza adatto a ogni azienda, è certo che senza investimento in conoscenza l’azienda rinuncia alla sua storia. Dunque al suo futuro.