Una piattaforma didattica interattiva per insegnare la lingua italiana è stata realizzata dall’Istituto Italiano di Cultura a Haifa in Israele. Il ministero degli Esteri l’ha inserita tra le best practices da segnalare. Si tratta di una piattaforma didattica open source che non solo funziona per insegnare l’italiano, dicono al ministero, ma è tanto attraente da riuscire a incuriosire molte persone che non avevano pensato di interessarsi alla nostra lingua.
Perché il ministero degli Esteri si oppua di questa questione? Secondo Antonio Deruta, autore di “Diplomazia digitale. La politica estera e i social media” (Apogeo 2012), la diffusione di una lingua è anche un modo efficace per costruire una strategia internazionale per un paese. E per l’Italia è un percorso straordinariamente coerente con l’idea di connettere la cultura italiana al valore generato dai suoi prodotti.
Il fatto è che da questo punto di vista possiamo riuscire a fare passi avanti significativi. Le persone che studiano italiano all’estero sono più numerose di quanto si immagini. Il ministero degli Esteri ne conta 70mila negli istituti di cultura italiana, 55mila nelle università di molti paesi stranieri, 200mila alla Società Dante Alighieri, 400mila usano i corsi previsti dalla ex legge 153/71. E poi ci sono i casi straordinari, come quello del Giappone, dove più di 350mila persone studiano l’italiano con i corsi televisivi e radiofonici della rete Nhk. È chiaro che questa attrattività della nostra lingua non è tanto legata alla sua utilità, quanto alla sua importanza simbolica: perché è connessa, evidentemente, allo stile di vita italiano. Che, almeno all’estero, continua a piacere.
L’accelerazione può venire proprio da un uso consapevole di internet. Per Deruta, la rete sta cambiando profondamente le pratiche della diplomazia. E aprendo a opportunità impensate. Compresa una dimensione tutta da sviluppare della diplomazia culturale che sarebbe insensato non sfruttare.