Gli occhiali degli analisti finanziari, le valutazioni dei consulenti sulla creatività, i calcoli degli economisti territoriali, avranno certo molti pregi ma raramente ci capiscono un’acca di quello che succede nel profondo dell’industria più tipicamente italiana. Quella che si occupa di casa, vestiti e cibo, quella che è guidata da imprenditori che vivono in abitazioni appiccicate alle fabbriche e ai laboratori, quella che non nasce a partire dal capitale e dalle analisi di mercato, ma dalla capacità di produrre qualcosa di bello e buono, quanto la qualità della vita del loro paese e della loro provincia. Non ci capiscono un’acca se non sono andati a vedere come funziona. E non sanno che il valore aggiunto generato da quelle aziende, piccole o medie, è talmente elevato da farle volare nonostante la pesantezza del contesto infrastrutturale, burocratico e finanziario.
E poiché Sandro Mangiaterra ci è andato a vedere quelle aziende, nel corso di una lunga ricerca sostenuta dall’Intel e raccontata su Nòva24, il suo libro, Creatività High-tech (Il Sole 24 Ore), va letto dai tifosi dell’Italia ma anche e soprattutto fatto leggere ai giudici internazionali che valutano l’Italia in base ai loro parametri standard.
Scoprirebbero imprese che fanno innovazione tecnologica atipica ma non meno efficace di quella che si studia nelle scuole di business. Imprenditori che accrescono le vendite in Asia, superano i test di qualità della Nasa, gratificano i compratori più esigenti dalla Britannia al Giappone, abbassano i costi e aumentano le rese, progettano on demand e producono su misura, il tutto con adattamenti delle tecnologie digitali di loro invenzione.
E occupandosi di abbigliamento, arredamento e alimentazione: cioè di beni dei quali non si potrà mai fare a meno. Una valutazione di tutto questo, potrebbe meritare, a modo suo, una tripla A.
Giovedì pomeriggio se ne parla a Vicenza, al centro congressi della fiera