I giornali si trasformano. E la loro evoluzione è anche frutto della ricerca che – spesso con metodo artigiano – si compie per ripensarli. Poiché uno dei capitoli della ricerca è la sperimentazione, Nòva può essere considerata parte di questo processo, per vocazione, in piena umiltà, immaginando i rischi che corre.
Tra gli argomenti più intensamente dibattuti in materia, l'ipotesi crossmediale è da tempo teoricamente interessante ma empiricamente poco indagata. L'idea è che i giornali non siano definiti dal mezzo specifico che li trasmette al pubblico – come la filiera della carta, per esempio – ma dalle capacità delle persone che li fanno, in relazione a un argomento, a una linea editoriale e a una comunità di riferimento. La storia da raccontare è una, fondamentalmente quella che vive la società che genera l'informazione e che vuole conoscere l'informazione, dunque non cambia al mutare dei mezzi fisici di produzione e trasmissione dell'informazione: anzi, il servizio compiuto dal giornale avviene proprio su una piattaforma che comprenda pragmaticamente ogni mezzo utile a servire il sistema dell'informazione. Questa è l'ipotesi.
Ma i fatti? Per conoscerli, si deve sperimentare. E Nòva tenta di farlo, offrendosi come piattaforma tecnica e giornalistica per gli innovatori che vogliano raccontare il loro percorso. Dopo l'esordio in versione settimanale cartacea, ha presto avviato un insieme di proposte online, priva con i blog indipendenti di Nòva100 e il loro aggregatore, poi con la navigazione tra gli articoli pubblicati sul giornale e gli approfondimenti dedicati per la rete. E ora arriva alla radio (dal lunedì al venerdì, dalle 16,00 alle 17,00), grazie al nuovo palinsesto creato da Radio24.
In tutti i casi, il senso di Nòva è nella comunità di innovatori che si esprime sulla piattaforma tecnica e umana organizzata dal Sole 24 Ore. Ma, compiuti i primi passi, si osserva come le specificità tecniche, economiche ed espressive di ogni mezzo si mostrino persistenti e spesso preponderanti. La carta chiede interpretazione e selezione, il web apre alla varietà infinita delle possibilità espressive chiedendo però di fare sintesi tra velocità e profondità, la radio si impone per la sua brevità densamente emotiva. L'unità della comunità che si informa è dunque declinata in una pluralità di situazioni che i mezzi servono: dalla tranquillità del momento della carta, al tempo impegnato del web, all'ergonomia multitasking della radio. La flessibilità, per chi lavora in questa situazione, non è una possibilità, ma una necessità.
Le conseguenze sono organizzative e culturali per quanto riguarda la produzione giornalistica: la sfida è trovare la coerenza tra l'unità delle competenze contenutistiche e la diversità delle competenze espressive. Ma per la funzione editoriale, quella preposta allo sviluppo del business, possono essere altrettanto interessanti: perché la crossmedialità sperimentata – laddove fosse giornalisticamente riuscita – aprirebbe la strada a innovazioni di offerta e di modello economico ancora sostanzialmente inesplorate.