La pubblicazione dei risultati delle ricerche scientifiche attraversa un ripensamento profondo. Le informazioni sulla ricerca sono strategiche per alimentare il progresso delle conoscenze dell’umanità, ma sono anche decisive per ogni forma di valorizzazione delle loro applicazioni economiche. La prima tensione porta gli scienziati a scambiarsi liberamente le informazioni, la seconda li spinge a tener segreti i loro risultati. La contraddizione è palese.
Per di più, le colonne sulle quali poggiava il sistema delle pubblicazioni scientifiche sono da qualche tempo leggermente in crisi. Il potere e, in un certo senso, il prestigio delle riviste classiche come Science e Nature è in discussione. Quelle riviste avevano assunto il doppio ruolo di valutatori di ultima istanza della qualità scientifica dei paper che decidevano di pubblicare e nello stesso tempo ne garantivano la notorietà mediatica globale, con conseguenze importanti per il successo degli scienziati e per la quantità di finanziamenti che questi riuscivano ad attirare ai loro laboratori. Ma un grande potere è anche un grande rischio. Qualche errore di troppo ha ridotto la loro affidabilità percepita. E nello stesso tempo, i media sono andati a cercare altre fonti di informazione sugli sviluppi della scienza, per non essere tutti allineati all’agenda dettata da quelle riviste. I sistemi troppo concentrati non funzionano.
È anche un tema antropologico e biografico: chi fa lo scienziato per una vocazione a svelare i segreti dell’universo e dei suoi piccoli abitanti ha esigenze diverse da chi si concentra piuttosto sulla moltiplicazione delle risorse da destinare alle ricerche o sull’accrescimento della propria notorietà e ricchezza personale. Ed è chiaro che la scienza accelera quando gli scienziati condividono le loro conoscenze, fanno confronti incrociati sugli esperimenti, si scambiano ipotesi e commenti. Un mondo di laboratori chiusi dietro muri di avvocati brevettuali non garantisce la stessa velocità di avanzamento della ricerca.
E non per nulla si stanno moltiplicando le iniziative per consentire agli scienziati di scambiarsi apertamente idee e informazioni. È un recupero dello spirito internettiano originario, condito da soluzioni che attualmente vanno sotto il nome di web 2.0. SciVee, per esempio, presentata anche alla recente edizione di Fest, a Trieste, è una piattaforma che consente agli scienziati di pubblicare video, blog e altro materiale da condividere; 3QuarksDaily invece è un gruppo di blogger-scienziati che informano in modo relativamente coordinato sugli sviluppi della ricerca; Openwetware serve a condividere conoscenze, opinioni ed esperienze tra biologi e biotecnologi. E poi c’è Plos che da tempo agisce come rivista scientifica, ma in chiave aperta e senza eccessive preoccupazioni dal punto di vista del business editoriale.
È chiaro che il tema della remunerazione dei finanziamenti privati alla ricerca è sempre fondamentale. Ma non dovrebbe portare a un’interpretazione integralista. L’ecosistema della ricerca ha bisogno di diversità, di scambio aperto e libero di idee. L’eccessiva concentrazione di tutti gli sforzi sulla valorizzazione economica dei risultati della ricerca può provocare un rallentamento del progresso scientifico. O almeno questo è ciò che pensano le migliaia di scienziati che hanno cominciato a usare il web 2.0 per esprimere le loro attività e per connettersi tra loro.