La prossima grande idea, nell’iper dinamico mondo dei media digitali, ha probabilmente a che fare con la qualità culturale. La cavalcata del web, dei social network, dell’internet mobile, nel corso degli ultimi quindici anni, ha portato su mezzi elettronici del 98% delle informazioni registrate annualmente nel mondo, secondo Martin Hilbert, dell’università di California, Annenberg. Ma in questa schiacciante vittoria quantitativa del digitale, condotta dalla velocità, dalla brevità, dall’accessibilità capillare e dalla contaminazione creativa, si è diluito un patrimonio critico che serviva a distinguere nella dinamica culturale ciò che è importante da ciò che è soltanto interessante. Ebbene: nell’epoca precedente, i giornali, le università, i musei avevano contribuito a distinguere ciò che era, appunto, importante; ma oggi, nell’infosfera accelerata e disattenta dei media digitali, le istituzioni che filtrano le informazioni sono metodologicamente meno profonde. Gli algoritmi di Facebook o Google servono a personalizzare più che a qualificare l’accesso. In questo contesto, il ruolo dei musei o dei giornali del futuro può rivelarsi preziosissimo se questi si riprogettano per diventare capaci di stare nella contemporaneità dal punto di vista tecnologico e di apportare valore dal punto di vista metodologico. Di questa riprogettazione parla il rapporto di Civita sui Social Museums, che sarà presentato a Roma il prossimo 30 marzo. E a questa stessa esigenza, in fondo, risponde il progetto Discovery24, finanziato da Google e proposto da Fondazione Golinelli, Iit, Expert System con la collaborazione di Nòva: serve ad accelerare la tecnologia con la quale un sistema “giornalistico” risponde all’esigenza di comprendere e monitorare l’attualità scientifica per metterla a disposizione dell’ecosistema dell’innovazione in modo veloce ed efficiente ma anche critico e narrativamente efficace.
Articolo pubblicato su Nòva il 27 marzo 2016