Può forse stupire i polemisti convinti del declino italiano, ma il fatto è che l’industria italiana non ha mai prodotto tanta elettronica come come oggi. L’epopea dell’Olivetti non è stata la fine della storia. In effetti, la Stm vende chip e sensori a tutto il mondo con risultati tecnologicamente ed economicamente rilevanti. E continua a innovare. La nuova frontiera, per Benedetto Vigna, direttore generale del gruppo analogici e mems è negli attuatori, motorini a basso costo, di dimensioni infinitesimali e grande precisione. La capacità innovativa dell’Stm, inoltre, conta sulle collaborazioni con l’università italiana: come quando ha trovato il modo di portare la tensione elettrica da 50 a 1 volt in un solo passaggio con grande risparmio, a vantaggio di uno dei massimi produttori di server del mondo. Google ha sottolineato l’importanza di quell’innovazione. In effetti, nella maggior parte dei casi la sua tecnologia finisce in macchine che sono prodotte altrove. Ma il passaggio storico attuale, quello che porta all’internet delle cose e all’industria 4.0, è un’occasione fondamentale per l’industria italiana. Nell’automazione della fabbrica, i sensori che costano poco e sono molto efficienti sono ormai parte integrante della modernizzazione delle macchine, a partire dalla manutenzione predittiva. E d’altra parte, sono sempre più richiesti nell’automobile e nei device medicali. Finiranno per cambiare tutta l’industria del tracciamento delle filiere produttive per la qualità dei prodotti alimentari e per la lotta alla contraffazione, della quale l’industria italiana è la seconda vittima mondiale, dopo gli Stati Uniti, secondo i dati dell’Ocse. Insomma, non solo l’Italia non è uscita dall’elettronica, ma può rilanciare: la fase attuale della tecnologia è un’opportunità evidente per l’industria italiana, che può accelerare l’innovazione nei settori fondamentali contando anche su una competenza molto radicata localmente. Occorre che questo ecosistema, per così dire, prenda coscienza di sé. E investa. Il momento giusto è ora.
Articolo pubblicato su Nòva il 15 maggio 2016