La digitalizzazione obbligatoria non fa modernizzazione, almeno a giudicare dall’esperienza italiana. In effetti, in Italia, da una ventina d’anni, il fisco richiede adempimenti online o comunque in formato digitale ai contribuenti e ai commercialisti. Questa circostanza avrebbe potuto avere un effetto educativo in un paese evidentemente restio ad abbracciare la tecnologia digitale per migliorare la produttività (e orientato casomai a vederla come oggetto di consumo). Ma a quanto pare questo non è avvenuto. Anzi: addirittura il 7% dei commercialisti dichiara che la digitalizzazione obbligata del fisco ha determinato un ulteriore peggioramento della situazione, di per sé già molto difficile a causa del labirinto di adempimenti nel quale si devono districare i contribuenti e i professionisti che li aiutano. Ma a parte i supercritici, visti i dati pubblicati in questa pagina, la digitalizzazione obbligatoria non ha moltiplicato il numero dei commercialisti entusiasti della tecnologia. D’altra parte, il contesto nel quale lavorano i commercialisti che servono le piccole imprese non è sfidante da questo punto di vista: i professionisti sono abbastanza sicuri di essere al passo con le richieste dei clienti, anche perché i clienti non sono certo al passo con la modernità digitale. Le piccole imprese italiane, nello scoreboard dell’agenda digitale europea, figurano tra le meno connesse e digitali: per esempio solo il 6,5% delle piccole e medie imprese italiane usa anche l’ecommerce per vendere, contro il 16% della media europea. Il che significa che le piccole e medie imprese italiane si collocano al 25° posto in questa speciale classifica europea. Non stupisce, appunto, che i commercialisti non siano stimolati a migliorarsi a loro volta dal punto di vista delle tecnologie. Casomai è singolare che solo una minoranza di questi professionisti vedano nel digitale un motivo per aumentare la gamma dei loro servizi, contribuendo proattivamente alla crescita della cultura tecnologica dei loro clienti. Il fatto è che la tecnologia non può essere un obbligo: è un generatore di libertà e si valorizza soltanto cogliendo le opportunità che offre. Il che implica comprenderla, manipolarla, immaginare a che cosa può servire e agire di conseguenza.
Articolo pubblicato su Nòva il 7 dicembre 2016