Gli italiani sono tra gli utilizzatori più compulsivi dello smartphone in Europa (rapporto Coop 2016 con dati REF Ricerche e Deloitte). Gli italiani sono tra i popoli con la minore quota di persone sovrappeso in Europa (dati Ocse). La dieta mediatica degli italiani è da tempo squilibrata, come dimostra, per esempio, il fatto che sono affetti da analfabetismo funzionale in percentuale superiore a quella della maggior parte degli altri europei (dati Ocse) e che in Italia c’è uno dei maggiori mercati per la pubblicità in tv d’Europa (Statista). Invece, la dieta alimentare degli italiani è piuttosto consapevole, anche se si assiste a un peggioramento significativo nell’obesità dei bambini (Oms). Nel mondo degli smartphone gli italiani sono semplici utilizzatori. Nella dimensione del cibo sono colti produttori e avveduti consumatori. Più in generale, probabilmente, saper fare le cose significa essere consapevoli su come vanno utilizzate con equilibrio in relazione al loro vero valore. Non sapere come sono fatte le cose invece apre la strada a una sorta di colonizzazione culturale, una dipendenza intellettuale che può diventare psicologica. Di certo, in Italia c’è il più grande mercato d’Europa per gli strumenti digitali indossabili (dati REF ricerche e Kantar) anche se questi strumenti possono essere tra i meno garantisti in termini di privacy e cybersicurezza. Insomma, la qualità della vita dipende dalla consapevolezza cui si attinge per compiere le scelte. E la consapevolezza cresce con la cultura della costruzione di ciò che si usa. C’è uno sforzo gigantesco da compiere per aumentare la conoscenza attiva sulle tecnologie digitali. All’epoca dell’industria 4.0 – ma anche nel controverso contesto della post-verità – questo sforzo può coincidere con il successo o il declino. L’investimento nei competence center delle università, le spese per l’alternanza scuola-lavoro, le risorse aziendali e familiari destinate alla formazione, sono le variabili decisive. Il capitolo immediatamente successivo riguarda la qualità dell’insegnamento.
Articolo pubblicato su Nòva il 5 febbraio 2017