La crisi dei fatti – e il successo delle false notizie – che ha colpito il Regno Unito, gli Stati Uniti e, in fondo, l’insieme delle democrazie occidentali non è nata con internet. Può essere che gli inglesi abbiano davvero creduto alla falsa notizia secondo la quale il loro stato mandava all’Unione Europea 350milioni di sterline alla settimana, per poi votare per la Brexit. È una brutta possibilità. Non è però più orribile, ricorda Tim Harford sul Financial Times, del sistema menzognero con il quale l’industria del tabacco ha contrastato per oltre mezzo secolo i fatti scientifici che dimostravano il collegamento tra il fumo e il cancro, usando i media che c’erano prima della rete. E non è peggio della strategia delle lobby delle industrie che producono e consumano combustibili fossili che per decenni hanno messo in dubbio i fatti scientifici che collegavano l’anidride carbonica al cambiamento climatico. Una strategia che continua a provocare disastri e a giustificare politiche miopi come quella annunciata dal presidente americano Donald Trump. Eppure i fatti non fanno breccia nelle coscienze come le storie che avvalorano le convinzioni già diffuse, i desideri più effimeri e gli interessi più beceri. Un nuovo paper pubblicato su Pnas da Walter Quattrociocchi ne dà conto sulla base dei comportamenti di centinaia di milioni di persone che stanno su Facebook. In questo caso, internet non è la causa del falso ma un sistema per studiare il fenomeno in modo capillare. Del resto, la rete aiuta anche nel factchecking. Non è ancora molto efficiente, invece, per creare attenzione intorno ai fatti e alla verifica dei fatti. In realtà, la rete è un ambiente mediatico che, come ogni altro, si può inquinare con le falsità e ripulire con la qualità culturale. Una volta inquinato rende meno credibili anche le notizie sane e verificate. Il che richiede una bonifica a base di passione per la verità, diffusione della curiosità, leadership della qualità. Richiede un movimento culturale tanto profondo quanto è banale il pensiero che deve combattere.
Articolo pubblicato su Nòva il 19 marzo 2017