Immaginare il futuro è una premessa per ogni tipo di innovazione. Ma l’immaginazione va coltivata. Ci sono diversi modi per farlo. Il territorio che sta oltre i limiti del conosciuto può essere esplorato con la ricerca scientifica, oppure sperimentando la tecnologia più avanzata, o seguendo un percorso artistico. Se queste strade sono sviluppate insieme si ottengono risultati potenzialmente interessanti, superando gli specialismi che in passato separavano l’umanistico dal tecnico-scientifico. Il libro di Marco Paolini e Gianfranco Bettin, “Le avventure di Numero Primo” (Einaudi 2017) è un magnifico gesto artistico che rende conto di una profonda immersione degli autori nel mondo della tecnologia e della scienza. Paolini e Bettin riescono a costruire una poetica del futuro, creando un’atmosfera romantica attraverso il racconto di un mondo nel quale l’intelligenza artificiale è una realtà affermata e le protesi elettroniche nel corpo umano sono pratica quotidiana, nel quale il clima è orma mutato irreversibilmente e le forme di vita si adattano malinconicamente. Ho sentito dire da Marco Paolini che la filosofia deve inventare le parole che servono a esprimere i suoi pensieri mentre la poesia estende la capacità espressiva delle parole che esistono. La poetica del libro è certamente influenzata da quella convinzione perché alimenta l’immaginazione a partire da una sorta di esperienza umana che gli spiriti sensibili possono riconoscere nella propria di oggi ed estenderla al futuro. Paolini, autore, attore e regista, sta sperimentando questa narrazione in teatro. Bettin, narratore e saggista, ne fa probabilmente materiale anche per la sua attività politica. Ma i loro lettori possono trarre dalle loro esplorazioni il senso di un futuro che non è definito da una dimensione come è tipico di una fantascienza meno artistica di così. E che invece è ampio, complesso e sfaccettato come il presente, nel quale si compiono le azioni delle quali quel futuro è conseguenza.
Articolo pubblicato su Nòva il 19 novembre 2017