Caro De Biase,
in questi giorni sto leggendo il libro di Andrew McAfee e Erik Brynjolfsson “Machine, Platform, Crowd: Harnessing Our Digital Future”. Una delle loro tesi è che abbiamo superato la fase in cui usavamo i computer solo per raccogliere e analizzare dati, demandando alla fine le decisioni agli esperti umani: ora abbiamo la possibilità di demandare molte decisioni – grazie a big data, machine learning etc – alle “macchine” che arrivano a soluzioni spesso migliori (per esempio non essendo influenzate da pregiudizi, a meno che i dati in entrata non ne siano “contaminati”…). Si riuscirà a collaborare con loro in questo nuovo contesto?
Federico Bo
Caro Bo,
il libro è ottimo. Segue il bestseller “La nuova rivoluzione delle macchine” e approfondisce queste tre dimensioni fondamentali dell’economia emergente dalla rivoluzione tecnologica: l’intelligenza delle macchine, la struttura abilitante delle piattaforme che offrono servizi capaci di disintermediare mercati tradizionali e conquistare una posizione di neo-intermediari, la partecipazione del pubblico alla generazione di valore. Sono le tre dimensioni insieme che stanno cambiando l’economia in una quantità di settori. Il solo machine learning non basterebbe a generare tutte le conseguenze che abbiamo sotto gli occhi. Le macchine sono il frutto dei nostri progetti, il loro valore è frutto dei modelli di business ai quali vengono applicate e la loro capacità di influenzare lo sviluppo della società dipende dalla consapevolezza con la quale le persone insieme sapranno interpretare le opportunità offerte dall’economia emergente. Le decisioni delle macchine, alla radice, sono le decisioni degli umani che le fanno e poi si adeguano a quello che hanno fatto. Fino a quando non trovano qualcosa che sposti ancora il limite del possibile.
Velocità della tecnologia
Caro De Biase,
le tecnologie non sono solo avanzate, ma avanzanti a un ritmo senza precedenti:
– non dobbiamo più misurare la velocità, ma l’accelerazione;
– la nuova modernizzazione è caratterizzata da processi di rapida obsolescenza (ci potremmo chiedere: a quando la quinta rivoluzione industriale?);
– la precarietà è diventato uno dei tratti culturali distintivi della modernità attuale; essa pervade la vita personale e sociale;
– bisogna fronteggiare la precarietà/obsolescenza delle soluzioni (individuali, pubbliche e private);
– bisogna accelerare i processi di adeguamento alla modernizzazione;
– è necessario assumere un nuovo tratto culturale: la velocità e l’accelerazione devono governare l’agire;
– è necessario accelerare nelle politiche aziendali, perché le tecnologie che acquistiamo nei prodotti in vendita sono già state superate (in qualche posto del mondo) e presto diventeranno obsolete;
– è necessario accelerare nelle politiche pubbliche, per evitare il rischio di una regressiva rivolta dei ceti medi proletarizzati;
– è necessario accelerare nel lifelong learning (anzi nella formazione continua, più che in quella permanente) perché le professionalità sono sempre meno resilienti;
– è necessario accelerare nella valutazione delle politiche pubbliche (anche dotandosi di idonee strutture come il Gao e il Nao) perché solo tempestive valutazioni (accountability) possono aiutare ad aggiustare il tiro (che rappresenta l’aspetto decisivo del problem solving).
Alberto Di Ferrante
Il disallineamento del lavoro
Gentile De Biase,
molte aziende quando offrono una posizione lavorativa riscontrano un “disallineamento” tra le skill possedute dai potenziali candidati e le competenze richieste per quel tipo di lavoro. Questo genera un “mismatch”, un paradosso assurdo in un periodo di alta disoccupazione. Sembra quindi che ci sia un mancato allineamento tra domanda e offerta di lavoro e che molti lavoratori si trovino a svolgere spesso delle mansioni non correlate alla propria professionalità. Per trovare le persone giuste per una posizione offerta, servono interventi strutturali e non legati alla contingenza del momento. Bisogna partire dalla domanda delle aziende e da lì la scuola, a tutti i livelli, deve costruire le risposte co-progettando percorsi formativi ad hoc con le stesse aziende, senza dimenticarsi che una percentuale delle posizioni lavorative che esistono oggi, domani saranno obsolete.
Serve capire che solo l’integrazione tra scuola e lavoro favorisce l’acquisizione di competenze e aiuta l’orientamento alle future scelte professionali. Ognuno, nella ricerca del suo lavoro, deve seguire le sue inclinazioni ma è anche giusto sia consapevole di ciò che chiedono le aziende. Se emerge che “la capacità di gestire la complessità” è una competenza mancante e che le aziende cercano lavoratori “digital oriented”, da qui si deve partire. Le aziende che sapranno orientare e progettare con la scuola, innescheranno un meccanismo positivo di formazione di competenze. Sono le stesse aziende dove le nuove generazioni aspireranno ad andare a lavorare. Lei che ne pensa?
Andrea Zirilli
Rubrica pubblicata sul Sole 24 Ore il 16 dicembre 2017