A dieci anni dalla ridefinizione dell’internet mobile realizzata dall’iPhone, uscito appunto nel 2007, è ormai evidente una polarizzazione delle opinioni relative alla dinamica sociale e culturale attivata dagli smartphone. È chiaro peraltro che né i preoccupati per atteggiamento esistenziale né gli entusiasti per partito preso possono dare conto di come stanno le cose. Quando si sente dire – da un manager di Facebook – che in media le persone guardano lo schermo di un telefonino circa 150 volte al giorno, i preoccupati leggono in quel numero un motivo di più per temere la dipendenza di massa dalla tecnologia e gli entusiasti ci vedono una dimostrazione ulteriore del valore del digitale. Di certo, sappiamo soltanto che il cellulare si presta a utilizzi sia razionali che irrazionali, in un mix piuttosto complesso: sicché per esempio si usano più frequentemente applicazioni “social” come Facebook e Whatsapp anche se gli utenti valutano Google Maps l’applicazione più utile, secondo una ricerca di Casumo. Molto probabilmente la media non spiega la situazione, poiché ci sono persone che usano il cellulare in modo relativamente razionale e hanno anche altri modi per accedere a internet, mentre ci sono altre persone che non entrano in rete se non con il cellulare e che lo fanno in modo compulsivo. Una buona dieta mediatica è sempre variata: con libri, giornali, cinema e accessi alla rete in mobilità e con il computer. Il cellulare, si direbbe, conduce a una versione semplificata della rete, con poche app che prendono la grandissima parte dell’attenzione e fanno perdere di vista la ricchezza della varietà della rete. Ebbene: l’Italia, sempre in coda nelle classifiche di accesso alle tecnologie digitali, è anche uno dei paesi nei quali le persone usano di più la rete soltanto con il cellulare: secondo una ricerca di comScore, il 26% degli italiani accede solo con lo smartphone, contro il 4% della Germania, l’8% del Regno Unito, il 12% degli Stati Uniti.
Articolo pubblicato su Nòva il 10 dicembre 2017