Caro Luca De Biase
Il tuo articolo sulle “possibili letture di futuri possibili” pubblicato Domenica scorsa su Nova mi stimola a fare due osservazioni.
La prima riguarda i metodi utilizzati per fare delle previsioni dalle varie organizzazioni citate, dal Club di Roma al progetto “Megatrends”. Sono in generale proiezioni evolutive e incrementali, basate su dei mega scenari costruiti in funzione d’ipotesi, utilizzate per delimitare e contenere il campo dell’analisi in un sistema chiuso. In un sistema sempre in equilibrio, governabile, caratterizzato dalla certezza dei risultati e da un procedere deterministico. Profondamente diverso da quelli aperti in cui vigono principi opposti essendo caratterizzati da uno squilibrio dinamico permanente e da variazioni continue. Nei sistemi chiusi prevale la linearità mentre in quelli aperti la complessità. La globalizzazione ha generato molti cambiamenti. Certamente uno dei più importanti è quello di aver aperto tutti i sistemi rendendo sempre più complicato leggere, capire e gestire gli eventi che si susseguono disordinatamente ad una velocità crescente. Questa è la difficoltà che conduce all’errore nelle previsioni evolutive-incrementali. Di fronte alla complessità, alla vastità delle ipotesi possibili, alle variabili infinite e all’interconnessione di tutti gli eventi, un approccio “visionario”, basato sulla capacità di vedere lontano, di porsi degli obiettivi specifici e strategici da raggiungere, indicando percorsi, ostacoli e lacune puo’ risultare più efficace e concreto.
Nel primo approccio sono gli eventi che trainano e condizionano le scelte mentre nel secondo sono gli obiettivi scelti che orientano l’azione.
La seconda osservazione riguarda l’utilità e il ruolo delle previsioni.
Mi pare che sia difficile non riconoscere l’utilità di disporre di previsioni, in particolare se basate su evidenze scientifiche, in una situazione confusa e incerta come quella che stiamo attraversando. Come siamo soliti verificare più volte al giorno i siti metereologici per conformare i nostri comportamenti non si capisce perché non dovremmo fare qualcosa di analogo in occasione di scelte importanti riguardanti la politica, l’economia, il futuro di una impresa o di un Paese.
Il “foresight”, come lo chiamano gli Anglosassoni, da noi inteso come la capacità di elaborare delle previsioni di tendenze, dovrebbe occupare un ruolo centrale nel definire politiche e strategie. E’ questa una carenza culturale che unita all’incapacità di vedere lontano, oltre l’orizzonte, ci condanna al declino, privandoci della speranza e della volontà di raggiungere l’irraggiungibile e di risolvere cio’ che oggi sembra irrisolvibile.
Ezio Andreta
Caro Ezio Andreta
grazie per questa critica importante di alcuni metodi con i quali si tenta di guardare al futuro. E anche per la considerazione finale. Coltivare una ricerca razionale sul futuro è necessario. Poter sviluppare una visione di prospettiva intorno alla quale fondare scelte importanti è essenziale. Farne a meno è un danno a noi stessi. Come persone e come comunità.
Caro De Biase
Un’azienda vincente, deve lavorare con i suoi dipendenti come fa il Barcellona con i suoi giocatori. Nel 2012, in una partita della Liga con il Levante, dal 13′ al 75′ del match tutti i giocatori del Barcellona in campo, provenivano dalla “cantera” della squadra: questo grazie alla cura che il Club riserva al settore giovanile, dove gli allenatori abituano i giocatori, sin da giovanissimi a “vivere” lo scenario della prima squadra, abbinando a questo, la capacità di “fidelity” dei grandi campioni e le abilità di “retention” della società blaugrana. Facendo una comparazione tra il Barcellona e la realtà aziendale, le aziende lungimiranti abbattono barriere e creano ponti con il futuro, definendo percorsi di carriera e offrendo elementi di supporto reali per la crescita del dipendente. Questo permette ai nuovi dipendenti, di comprendere la realtà aziendale, ponendosi l’obiettivo (almeno nel primo periodo) di imparare piuttosto che guadagnare e di porsi degli scopi di crescita personale: guardare avanti per raggiungere la prima squadra. Se si lavora bene sui talenti, questi saranno capaci di sviluppare le proprie potenzialità trasformandole in risultati. L’organizzazione vincente ha quindi l’obbligo di implementare un processo di valorizzazione dei talenti, attraverso programmi di formazione o rafforzando le professionalità già esistenti. La centralità del capitale umano sin dalla “cantera” è il vero motore del successo di un’azienda.
Andrea Zirilli
Rubrica pubblicata sul Sole 24 Ore il 2 marzo 2018