La spinta dell’innovazione e la potenza crescente dell’economia dei dati stanno cambiando i fondamenti stessi del capitalismo? Di certo stanno creando il grande potere delle gigantesche piattaforme che raccolgono grandi moli di dati. E implicano, come si dice in questa pagina, che è necessario riflettere sulla possibilità di introdurre nuove regole a favore del mercato. «Il mercato basato sullo scambio semplificato dalla mediazione del prezzo in denaro sta lasciando il passo al mercato basato sullo scambio multidimensionale di valori complessi reso possibile dalla disponibilità di dati e intelligenza artificiale. È un rafforzamento del sistema di mercato purché si introducano le giuste forme di regolamentazione, contro la banalizzazione generata dal capitalismo finanziario ma anche per evitare la sua trasformazione in un capitalismo dei dati, con la concentrazione del potere in poche gigantesche imprese». Lo dice Viktor Mayer-Schönberger, docente di regolamentazione di internet a Oxford, che con Thomas Ramge, giornalista economico, ha pubblicato in febbraio il libro “Reinventing Capitalism in the Age of Big Data” (è da poco uscita la versione italiana per Egea). «Il mercato è un ottimo sistema per decidere come allocare le risorse perché è decentrato e ciascuno può operare le sue scelte. Ma se il mercato si svolge sulla piattaforma di proprietà di una grande impresa come Amazon che possiede anche l’intelligenza artificiale che guida le persone nei loro consumi, con le raccomandazioni, quel mercato cessa di essere un sistema decisionale decentralizzato e diventa un sistema a pianificazione centralizzata. Diventa la negazione del mercato». Possiamo calcolare, dice Mayer-Schönberger, che oltre il 30% degli scambi su Amazon è governato dal sistema delle raccomandazioni e quindi quasi un terzo di quel “mercato” è in un certo senso “pianificato”. Ebbene: le aziende vogliono crescere. Se possono vogliono crescere sempre di più. Anche diventando monopoli. La contromisura vera – al di là degli interventi dell’antitrust – è l’innovazione: i nuovi entranti in un mercato portano aria nuova, mettono in discussione il potere dei grandi, essenzialmente innovando. «Il problema è che nell’economia dei dati, chi ne detiene molto più degli altri finisce per possedere algoritmi e sistemi di machine learning molto meglio allenati. Quindi innova più dei piccoli o dei nuovi che dovrebbero alimentare la concorrenza». Che fare, dunque? «La Gdpr è una regola giusta. Ma non so quanto efficace. Ho paura che pochi cittadini si prenderanno la briga di recuperare i loro dati dalle piattaforme e immetterli in piattaforme concorrenti». Ci vogliono piuttosto degli incentivi a farlo? «Incentivi? Può darsi. Magari nella forma di detassazione: la nostra idea è che le imprese siano obbligate a condividere una parte dei loro dati con altre imprese che non ne hanno abbastanza per competere: in cambio avranno una piccola riduzione del carico fiscale». Non ci sono problemi di protezione dei dati personali? «I dati devono essere anonimizzati. E selezionati casualmente dall’insieme dei dati raccolti dai giganti. Poi messi in comune in computer accessibili da tutti i concorrenti, grandi o piccoli». È solo un’idea o qualcuno la sta portando avanti? «In Germania si sta formando un consenso intorno a questa idea. E ultimamente la cancelliera Angela Merkel ha detto di essere favorevole a una “tassa sui dati”».
Articolo pubblicato su Nòva il 17 giugno 2018