E dopo? Che cosa succederà? Domande ricorrenti in un periodo di trasformazione tecnologica e di incertezza sociale. A maggior ragione in queste settimane, decisive per la definizione del percorso di sviluppo in molte democrazie: in Brasile, negli Stati Uniti e nel Regno Unito, in Italia e nell’insieme dell’Europa. Come sempre, le scelte di policy sono definite dalla prospettiva nella quale viene collocato il rapporto tra le decisioni e le loro conseguenze. Possiamo cambiare il futuro o dobbiamo adattarci al futuro? A complicare il quadro, bisogna ammettere che le scelte più forti sembrano emergere più dal rancore che dalla ragione. E i media sociali sono parte del problema: negli stessi paesi, dall’Europa all’America, con un picco evidente in questi giorni in Brasile, il dibattito è dominato dalla rabbia, in parte motivata dalla difficoltà economica congiunturale e in parte alimentata dalla stessa logica strutturale delle piattaforme principali.
E, dunque: come possono convergere, oggi, le aspirazioni umane e le previsioni? Le iniziative pensate per uscire dalla gabbia di un presente schiacciante non mancano. A Bruxelles il 22-26 ottobre, lo European Data Protection Supervisor (EDPS) organizza una conferenza per discutere di come i dati e chi li controlla, nel contesto digitale, influenzino i valori delle persone, e di come la riflessione etica possa alimentare la dignità delle persone. Negli stessi giorni, lo European Research Council presenta i suoi piani di investimento nell’intelligenza artificiale e dedica un’intera sezione all’etica. Intanto, l’Istituto Italiano di Cultura di Bruxelles organizza una serie di incontri tra filosofi e scienziati per pensare quello che è giusto sperare nel mondo digitale. E, in Italia, l’associazione Rousseau ha convocato un eterogeneo gruppo di esperti in Sardegna per discutere di come evolvano i diritti umani e di quali strumenti si possano sviluppare per farli valere. Intanto, Conad e Censis hanno lanciato un’iniziativa di studio sull’immaginario collettivo per comprendere come si possa passare da una condizione dominata dal rancore, dalla nostalgia e dall’incertezza – che frenano l’iniziativa economica – a una nuova epoca di fiducia costruttiva.
Come osserva il filosofo Maurizio Ferraris non esiste un immaginario collettivo isolato dal contesto economico e sociale. Su quali realtà può dunque poggiare la visione? Va ricordato che mentre la crisi del 2008 ha tagliato drasticamente i consumi e la produzione industriale, le esportazioni italiane sono cresciute: segno che le aziende che innovano esistono in Italia. In secondo luogo ci sono le buone notizie sul piano della qualità della vita: il primato italiano in Europa nel numero di “benefit corporation”, aziende che si danno l’obiettivo di creare valore non solo per gli azionisti ma anche per tutta la comunità; il record italiano in Europa per la quantità di materie prime seconde che entrano nella produzione manifatturiera attraverso processi di riciclo. Può essere che dalla sensibilità ecologica e dall’innovatività dimostrate dalle migliori aziende italiane si possa immaginare una ricostruzione del senso della prospettiva. Compreso un rinnovato impegno per un’ecologia dei media. Ma di certo, la leadership dei migliori va connessa alla sensibilità delle maggioranze. E questo resta un problema.
Articolo pubblicato su Nòva-Il Sole 24 Ore il 30 settembre 2018