Immuni. Corona-Warn-App. StopCovid. Covidsafe. TraceTogether. Covid Tracker. Cocoa. Sono le applicazioni per tracciare il contagio di coronavirus, rispettivamente in Italia, Germania, Francia, Australia, Singapore, Irlanda, Giappone. Chi ha fatto meglio? A che punto è l’Italia? Le storie sono diverse. I dati sono scarsi. Un fatto è certo: il contenimento dell’epidemia è una prova di efficienza del sistema sanitario, resilienza e collaborazione sociale. Non è solo questione di tecnologia.
Ma, insomma, a che punto è l’Italia? Al 9 agosto gli abitanti in Italia che hanno scaricato Immuni erano 4,7 milioni, circa l’8% (82mila in più nell’ultima settimana). In Germania il programma è stato scaricato da 16 milioni di persone, attorno al 18% della popolazione. Perché questa differenza? Non è solo questione di disciplina. In Italia è andata meglio che in Giappone, dove ha scaricato il 6% della popolazione. I pregiudizi sulla razionalità o emotività delle culture, come spesso avviene ai pregiudizi, non spiegano. In Irlanda, è stato un successo: il 37% ha scaricato l’applicazione nella prima settimana. Nel Regno Unito non è andata bene: dopo molti tentennamenti, un test e qualche falso positivo, il paese col tasso di penetrazione digitale più alto d’Europa ha cambiato radicalmente strada e solo ieri ha annunciato di essere vicino a uscire con servizio.
Tecnologicamente, Immuni funziona come le applicazioni che ci sono in Germania e Irlanda, in base allo standard di Apple e Google, fatto per garantire la privacy. Da noi tutto è volontario e decentralizzato. Il che è apprezzato in Germania. In Italia non sembra aver inciso molto. Nel marzo scorso, un sondaggio della Swg scopriva che il 66% degli italiani era d’accordo sul tracciamento governativo dei contatti delle persone contagiate, anche senza garanzia della privacy. A inizio maggio, per Altroconsumo, il 66% era favorevole a Immuni . A inizio luglio, secondo un sondaggio di Ipsos, il 45% degli italiani rifiutava decisamente Immuni. Nel frattempo, i leader dei partiti di opposizione di destra si erano dichiarati contrari a Immuni, alcune regioni avevano introdotto applicazioni alternative e qualche incertezza di comunicazione non aveva aiutato. In Germania la comunicazione è stata coerente e, soprattutto, si è vista una grande efficienza nella risposta del sistema sanitario. In Germania tamponi e test non tardano nei casi sospetti. In Italia, l’esperienza è diversa.
Peraltro, non ci sono grandi riscontri sull’impatto di queste applicazioni. In Italia, dall’esordio dell’applicazione a fine luglio, 62 persone trovate positive hanno acconsentito a mandare le notifiche alla rete dei contatti individuati da Immuni. Dal 13 luglio al 3 agosto sono partite 132 notifiche a possibili contagiati. Nell’ultima settimana 10 utenti positivi hanno sbloccato i codici, facendo partire 191 notifiche, dice il ministero della Sanità. In Francia, in giugno, quando l’applicazione era stata scaricata da 2 milioni di persone, solo 14 persone erano state notificate. In Australia, dove vivono 25 milioni di persone, in giugno 6,2 milioni avevano l’applicazione ma, per Gizmodo, era difficile vedere un risultato: in uno stato come Victoria, non si era trovato neppure un potenziale contagiato che non fosse già stato individuato con metodi analogici.
Tutto questo non significa che le applicazioni non servano. Ogni caso individuato è un successo. Immuni e simili non sono la panacea. Possono servire un po’. E nel tempo serviranno un po’ di più. Ma, come insegna la Germania, quello che serve davvero un efficiente sistema sanitario, una leadership competente ed equilibrata, una popolazione fiduciosa. E sebbene tutto questo non basti, comunque aiuta.
Articolo pubblicato sul Sole 24 Ore il 15 agosto 2020