La ricerca di un modo per risanare la qualità della vita nei media digitali, in parallelo con la crescita dello spazio mentale che le persone riservano all’ambiente culturale emergente nell’internet fissa e mobile, è passata di livello: da importante a indispensabile. Non si cessa di osservare come la rete sia pervasa da negatività. E c’è forse un continuum nell’insieme delle informazioni squalificanti: dallo spazio delle banalità che hanno l’effetto di mettere in discussione il ruolo degli esperti, alle informazioni false più o meno strategicamente prodotte e fatte circolare, alle manifestazioni di odio, che si alimentano della sofferenza sociale e psicologica e vengono sfruttate dal cinismo di pochi potenti manipolatori. Si avverte il bisogno di una bonifica dell’ecologia dei media. Ma mentre la riflessione politica è in pieno svolgimento, nella speranza che porti ad assumere decisioni competenti e sagge, senza farsi trascinare dalla cronaca, ma pensando soprattutto alla storia, di certo si sa già che la struttura delle piattaforme è molto importante per la gestione dell’enorme quantità di conoscenza che viene immessa nei media digitali. La qualità dell’informazione è correlata alla qualità della gestione dell’informazione che le piattaforme si incaricano di organizzare. E se si tenta in tutti i modi di evitare di affidare solo a qualche compagnia privata – come Facebook, Twitter o Google – il compito di riqualificare l’informazione, ci si domanda però in che modo incentivare comportamenti ecologicamente più sani da parte delle piattaforme stesse e dei loro utenti. Ovviamente in un ecosistema, non ci sono formule magiche. Ma alcune ipotesi di possono formulare. E la prima è semplice: la qualità dell’informazione in circolazione discende dal metodo con il quale è prodotta e distribuita; dunque discende dall’incentivo ad adottare, sia dal lato dei produttori che dal lato dei fruitori, un metodo, inteso come accuratezza dell’esposizione, verificabilità della documentazione, rilevanza dell’utilizzazione nella vita concreta del fruitore. Una cartina di tornasole per riconoscere incentivi ala qualità, probabilmente, è nel modello di business. Se in un settore della mediasfera prevale un modello di business totalmente dipendente dalla pubblicità, le piattaforme e gli editori tenderanno a proporre informazione di qualunque qualità pur di raccogliere attenzione da rivendere agli inserzionisti pubblicitari. Se in un settore prevale un modello basato invece sull’acquisto dell’informazione da parte dei fruitori, le piattaforme e gli editori tendono a cercare una rilevanza che ha bisogno di qualità.
Se la qualità dei libri ha talvolta retto meglio di quella dei giornali nel contesto digitale è forse anche perché i libri si sono sempre fatti pagare mentre i giornali si sono dati gratis fino a quando hanno compreso l’errore. A maggior ragione lo si vede nei video e negli audio: le piattaforme a pagamento investono di più di quelle gratuite nella qualità informativa e artistica del prodotto; le piattaforme gratuite investono di più nella gestione del comportamento dell’utente. Nei podcast appare evidente, secondo quanto emerso nel corso dei tre giorni di discussione dedicata ai podcast nell’ambito del Festival della Comunicazione di Camogli.
Articolo pubblicato su Nòva il 13 settembre 2020