Le clausure decise per contenere la pandemia hanno effetti collaterali. Non solo distruggono l’economia. Tendono anche a favorire un’infodemia, secondo l’Observatory on Social Media dell’Indiana University. Betsi Grabe, che ha contribuito allo studio, dice: «Incertezza, ansia, isolamento sociale, difficoltà economica, tempo libero costituiscono circostanze quasi perfette per l’infodemia: diffusione di storie non documentate nei social media, soffocamento dell’accesso a informazioni affidabili, dubbi sulla credibilità degli esperti e polarizzazione politica». L’aumento del tempo dedicato a un sistema di media poco preparato a valorizzare la qualità dell’informazione e la diminuzione delle occasioni relazionali e culturali fisiche riconfigurano il senso critico e abbattono le barriere alla circolazione delle falsità, con conseguenze comportamentali piuttosto rischiose.
Le logiche autoreferenziali della diffusione di narrative prive di riscontro fattuale e immerse in contesti culturali dominati da pregiudizi e convenzioni , non vivono solo nei media sociali ma in un ecosistema complesso. Soprattutto non sono solo frutto di spontanee sciocchezze inventate, credute e fatte circolare dai più strani frequentatori dei social media. Spesso sono invece frutto di strategie coordinate. Un esempio? Un utente di un social network lancia il sospetto che l’epidemia sia colpa dei cinesi e un importante politico sottolinea l’ipotesi. Nel flusso di opinioni viene espressa la convinzione che il virus sia sfuggito da un laboratorio cinese. Se quell’opinione prende piede e viene rilanciata una narrativa è avviata. Fox News fa il suo scoop: la “virologa” Li-Meng Yan afferma di poter provare che il virus è stato fabbricato in un laboratorio. I social network rilanciano massicciamente. I leader politici più spudorati rilanciano e sfruttano la notizia. Il New York Times fa notare come la notizia sia priva di fondamento. Facebook e Instagram segnalano agli utenti che i post relativi a questa vicenda contengono informazioni false. Alla fine la notizia falsa resta tra le convinzioni di una percentuale significativa della popolazione. Per lo studio dell’Indiana University il 39% degli americani non crede a nessuna notizia falsa, ma il 60% ne ritiene vera almeno una.
Queste narrative autoreferenziali, cioè non documentate nei fatti, possono guidare i comportamenti dei cittadini dal punto di vista sanitario, politico, economico. Robert Shiller, premio Nobel per l’economia, ha scritto “Economia e narrazioni. Come le storie diventano virali e guidano i grandi eventi economici” (FrancoAngeli 2020, versione originale 2019). Shiller propone di includere nell’analisi economica l’analisi delle narrative che si diffondono nella mente collettiva con le dinamiche tipiche del contagio informativo. L’infodemia influenza l’economia.
La diffusione di narrative sane, documentate trasparentemente e qualificate metodologicamente, è parte integrante di qualsiasi strategia per la sanità pubblica e lo sviluppo economico. È una produzione culturale che tiene conto insieme delle storie che racconta e del mezzo col quale le racconta. Che coltiva l’ecologia dei media, necessaria all’adozione di piattaforme utili alla qualità informativa.
Articolo pubblicato su Nòva il 20 settembre 2020