Articolo pubblicato sul Sole 24 Ore il 5 dicembre 2023.
Anche Spotify, come Disney+ e altre piattaforme di streaming, deve affrontare un passaggio congiunturale e strategico piuttosto difficile: dall’espansione alla contrazione della domanda, dalla conquista di nuovi clienti al raggiungimento del profitto. Queste piattaforme tanto popolari quanto potenti, sostenute dalla finanza e dalla tecnologia, capaci di offrire un modello di business agli autori e, insieme, influenzarne le scelte creative, sono titani condannati a vivere in una condizione di equilibrio instabile.
La concorrenza tra queste piattaforme è forte. Le grandi dimensioni sono imprescindili. La loro strategia si configura come un gioco in tre mosse: 1. investire in una grande quantità di film e brani musicali, insieme ad alcuni prodotti autoriali di qualità; 2. conquistare moltissimi clienti, praticando prezzi contenuti; 3 ridurre i costi per raggiungere il profitto. Le Big Tech come Apple e Amazon riescono a lanciare i loro servizi facendo leva su una eccezionale forza di mercato dovuta ad altri prodotti. Le piattaforme che fanno solo streaming vivono tra due loop: nelle fasi di espansione, investono nel catalogo, conquistano clienti e rimandano i tagli dei costi; nelle fasi di contrazione, tagliano i costi, perdono clienti, investono meno negli autori. E rischiano.
Questi circoli, virtuosi o viziosi, si rompono solo con innovazioni tecnologiche o con invenzioni creative. Gli algoritmi di raccomandazione hanno funzionato finora per incollare le persone agli schermi anche indipendentemente dalle novità editoriali. Ma la tecnologia suggerisce sempre nuove opportunità. E tentazioni. Gli autori dell’industria cinematografica hanno ottenuto che l’intelligenza artificiale non sia usata per sostituire gli umani: al momento, questa tecnologia sembra soprattutto utilizzata per alimentare la produttività e può contribuire all’inflazione di film disponibili sul mercato. Nella musica questo effetto inflattivo era già dimostrato dai 14 milioni di canzoni immesse sul mercato da Boomy, che consente a chiunque di produrre brani automaticamente: Spotify ne ha eliminato decine di migliaia, ma non basta. In generale, troppa scelta è ansiogena e non aiuta le vendite, come ha dimostrato Barry Schwartz autore di “The paradox of choice”.
Intanto, il sentiero delle piattaforme si restringe per via normativa. L’Unione Europea richiede alle piattaforme di rilasciare i dati che servono a difendere i consumatori. L’India studia una legge che obblighi le piattaforme ad accettare che le nuove uscite siano preventivamente valutate da comitati composti da rappresentanti di diversi gruppi sociali. Il senso di ogni storia dipende molto dal contesto. E indubbiamente il contesto che ha fatto prosperare queste piattaforme non è più lo stesso.
Foto: “Interior – Palau de la Musica de Catalana” by kkmarais is licensed under CC BY 2.0.