Una versione di questo pezzo è uscita sul Sole 24 Ore intorno alla data riportata in calce
Le schermaglie dei politici generano talvolta più attenzione che conseguenze. Ma nel caso dell’intelligenza artificiale, il racconto dei politici è chiamato almeno a definire il contesto nel quale le imprese decidono i loro investimenti. E il racconto attualmente è quello di una gara globale per conquistare il potere nella tecnologia più promettente del momento. Il vice presidente americano, JD Vance, al Summit di Parigi, non ha esagerato con la diplomazia. Ha detto che gli Stati Uniti sono e resteranno leader nell’intelligenza artificiale, anche grazie alla libertà d’azione che garantiscono alle imprese: e ha consigliato all’Europa di eliminare la sua regolamentazione. La presidente della Commissione Europea, nella stessa conferenza, si è invece dichiarata convinta che l’Europa possa essere protagonista di un’intelligenza artificiale che rispetta i diritti umani, sottolineando come gli investimenti pubblici abiliteranno la riscossa dell’industria europea. Di certo, in questa fase, tra Stati Uniti ed Europa c’è più confronto che collaborazione: e gli americani sembrano decisi a dettare le condizioni. Ma davvero tutto si riduce a una gara? E si può già dire chi la vincerà? Un large language model ha già scritto il futuro?
Von der Leyen ha ragione almeno su un punto. Le conseguenze dell’intelligenza artificiale non si manifesteranno in un paio d’anni, ma casomai in un paio di decenni. Questa tecnologia impone aggiustamenti e suggerisce innovazioni in quasi tutte le dimensioni dell’economia e della società, sicché non si gioca alla velocità dell’offerta di soluzioni, ma con i tempi dell’adozione: gli ospedali, le scuole, le aziende leader e le piccole, le pubbliche amministrazioni e i sistemi militari. Significa che le economie si devono preparare a una lunga trasformazione. È una consolazione per un sistema come quello europeo. Ma è anche realistico.
Se quella dell’intelligenza artificiale è una partita, l’Europa può fare bene solo preparandosi a giocare sia in difesa e che in attacco: ha già fatto le regolamentazioni, è arretrata nella dotazione di infrastrutture e tecnologie abilitanti, non si è finora occupata della disponibilità di materie prime rare, ha perso terreno nelle comunicazioni satellitari, ha una forte capacità di produrre applicazioni a grande valore aggiunto, deve aggiustare come tutti il sistema educativo, non primeggia nella disponibilità di fondi per gli investimenti, è avanti sulla frontiera del quantum computing. Ma soprattutto ha un’idea originale di quello che vuole: modelli che rispettino i diritti umani, soluzioni che limitino al minimo i consumi di energia, applicazioni che valorizzino i suoi punti di forza industriali e le frontiere scientifiche sulle quali primeggia, tecnologie aperte, orientate al bene pubblico, sicure. Se il tempo della trasformazione è abbastanza lungo e la strategia europea è abbastanza originale e attraente, le sue chances sono tutt’altro che nulle.
È un programma realistico? “The EuroStack initiative”, è uno studio uscito a metà febbraio, diretto dall’economista Francesca Bria per la Fondazione Bertelsmann e altri: descrive la complessità del compito ma individua le direttrici di un approccio strategico che è possibile attuare per alimentare l’intera filiera dell’intelligenza artificiale e aumentare l’autonomia tecnologica europea, dotandosi anche di un fondo sovrano pubblico-privato che dovrebbe raggiungere una dimensione da 300 miliardi di euro per avere il giusto impatto. Ci si può arrivare?
In questo senso, la congiuntura segna una svolta. Un aumento degli investimenti militari dell’Europa non potrà mancare e dovrà garantire una certa autonomia tecnologica all’Unione: il che significa che investimenti per un recupero nelle infrastrutture e tecnologie abilitanti, dai chip ai satelliti, dai datacenter ai modelli fondazionali, potranno essere giustificati. Ma una sorta di nuova consapevolezza sembra farsi strada: ai 150 miliardi che potrebbero essere messi a disposizione da una cordata di imprese private europee raccolte nella European Tech Champions Initiative, il programma pubblico InvestAI aggiungerà altri 50 miliardi per servire obiettivi strategici europei. Compresa la costruzione di una sorta di CERN dell’AI.
Insomma, la risposta europea, sulla carta, si annuncia articolata e strategica. Dovrà essere accompagnata da una consapevolezza: l’Europa non è una potenza autarchica ma una comunità che prospera in un mondo aperto. Quindi anche le alleanze dovranno essere aperte. Per la diplomazia scientifica, tecnologica ed economica, si annuncia una stagione più interessante.