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Al cuore dell’AI Factory di Bologna c’è l’investimento per la costruzione di un super computer ottimizzato per l’AI che consentirà alle startup e alle imprese di sviluppare modelli avanzati. Si tratta di 430 milioni che avviano uno sviluppo territoriale capace di mobilitare complessivamente 2 miliardi di euro. Fa parte di una rete di interventi pubblici sostenuti dall’Europa con 10 miliardi che la presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha definito «il più grande investimento pubblico nell’AI del mondo», accompagnato da un altro piano da 200 miliardi pubblico-privati per garantire la potenza di calcolo necessaria a offrire i servizi. Se n’è discusso in un convegno di alto livello organizzato ieri dal Comune di Bologna e Confindustria Emilia Centro.
«È solo l’inizio della corsa per l’intelligenza artificiale» ha detto il presidente del Cineca, Francesco Ubertini «e le chance dell’Europa sono importanti. Perché sebbene i competitori appaiano un vantaggio sulle chat intelligenti, l’Europa ha grandi possibilità sulle applicazioni industriali». Di quali appliazioni si parla? «Per noi l’AI non serve solo a ridurre i costi e aumentare la produttività. Ci consente di creare prodotti che sembravano impossibili» spiega Maurizio Marchesini, ceo dell’omonimo gruppo di macchinari per il packaging. «Tutte le imprese avranno un gemello digitale» prevede Valter Caiumi, presidente di Voilàp e della Confindustria del territorio: «Le fabbriche saranno progettate in digitale prima di costruirle e l’AI sarà decisiva». In effetti, la storia dell’AI non finisce con le conversazioni con ChatGPT. L’intelligenza artificiale all’europea è fatta per allargare il limite del possibile nella manifattura, nella sanità, nelle pubbliche amministrazioni. «Il che significa che deve essere una tecnologia fidata, spiegabile, aperta, rispettosa dei diritti umani» osserva Michela Milano, scienziata all’università di Bologna. Ma se tutto questo è vero, gli europei hanno la possibilità di proporre una loro interpretazione dell’AI nella quale ritagliarsi una leadership. «Purché si impegnino a definire una loro autonomia tecnologica» ha precisato Francesca Bria, economista, coordinatrice di un recente studio per la fondazione Bertelsmann e Mercator, attenta alle attuali sfide geopolitiche.
Per Bologna e l’Europa, dunque, l’AI Factory serve a cogliere queste opportunità. Il sindaco Matteo Lepore ha mostrato come il successo richieda la definizione del posizionamento di Bologna nello scenario globale, puntando sulla forza dell’università e della manifattura. L’assessore Raffaele Laudani, insieme al direttore generale del Comune Valerio Montalto e alla delegata, tra l’altro, per l’impatto del Tecnopolo Rosa Grimaldi, hanno descritto come Bologna intenda costruire un ecosistema dell’innovazione, per attirare talenti e capitali, connettere gli stakeholder, fare inclusione mentre si fa ricerca avanzata. Il tutto in una regione che lavora per connettere l’AI Factory alla rete di poli dell’innovazione territoriali, come hanno spiegato il presidente Michele De Pascale e il vice presidente Vincenzo Colla. La ricerca scientifica, l’innovazione nella formazione e nella didattica e la connessione con il territorio dell’università sono state raccontate dal rettore Giovanni Molari e dalla prorettrice Rebecca Montanari.
«Attenzione però che occorre portarsi dietro il sistema delle piccole imprese diffondendo la conoscenza delle tecnologie più avanzate» ha avvertito Romano Prodi, economista, che ha anche suggerito di sfruttare i fondi del PNRR non ancora spesi e di monitorare le decisioni di Bruxelles sugli ulteriori fondi annunciati dalla presidente a Parigi: «Nella mia esperienza di Europa ho visto che se la destinazione dei soldi non è ben chiarita, i fondi possono sparire».