Il futuro dei vaticini di Natale

Come ogni anno, di questi tempi, si moltiplicano i servizi giornalistici che danno conto delle previsioni dei centri di ricerca e dei guru delle varie discipline. Si legge di tutto: da David Golden, di Revolution Ventures, che per il 2017 vede un’accelerazione della tecnologia per la finanza, all’ex tennista Boris Becker che fa pronostici sul campionato di calcio inglese, da Nesta che prevede un aumento dell’uso artistico della realtà virtuale a MIDiA Research che stima un rallentamento del mercato della pubblicità online, da Bernard Marr, editorialista di Forbes, convinto che nel 2017 la blockchain comincierà a dare risultati utili ai chiosatori di Nostradamus che, senza rischiare molto, prevedono ulteriori problemi politici in Italia. Stime, previsioni, predizioni e vaticini sono sempre un conforto per chi ci crede e un problema per chi, facendoli propri, opera le sue decisioni di conseguenza. Casomai stupisce che si diffondano tanto nelle ultime settimane di dicembre, visto che sarebbero altrettanto inutili in aprile o in ottobre. Si tratta tra l’altro di esercizi linguistici molto complessi, nei quali chi si avventura a descrivere il futuro lo fa con parole che non impegnano se non in apparenza perché si concentrano su formule poco verificabili in modo da non rischiare che qualcuno, in seguito, possa andare a verificare se effettivamente si sono avverate. Queste attività divinatorie, peraltro, sono abbastanza negative perché rendono meno credibili anche le ricerche orientate a guardare alle tendenze future con metodi meno raffazzonati e più empirici. La costruzione di scenari, la modellizzazione e il riconoscimento di regolarità nei sistemi complessi, persino le stime e previsioni statistiche, si fondano su altrettante metodologie controllate. Ma il loro uso per aumentare la consapevolezza intorno alle conseguenze delle scelte e per migliorare le decisioni è meno diffuso del necessario proprio per la difficoltà di distinguerle dal vocio degli indovini. Eppure anche il futuro merita una ricerca scientificamente sensata.
Articolo pubblicato su Nòva il 18 dicembre 2016