La pubblicità cerca nuovi linguaggi e si esercita sui nuovi media. Cercando di ridefinirsi per affrontare la grande trasformazione che accompagna l’avvento dell’era post-industriale.
I fenomeni sono molteplici e le sperimentazioni significative. Ma molti addetti ai lavori si domandano ancora se il mercato sia maturo per cambi di rotta profondi. Eppure alcuni comportamenti sono già evidenti:
1. Una ricerca della Sems ha dimostrato che almeno il 65% degli italiani che usano i motori di ricerca sul web li consultano per approfondire la loro conoscenza di un prodotto del quale hanno avuto informazione attraverso la pubblicità offline. Il che significa che nella dinamica crossmediale tipica di ogni persona, il web ha trovato un posto molto significativo nella popolazione italiana.
2. Il valore immateriale dei prodotti è ormai parte integrante delle motivazioni d’acquisto. E del valore immateriale è parte integrante la storia che è collegata al prodotto. Una storia complessa, fatta sempre più spesso della biografia di chi lo ha pensato, del design con il quale è progettato, dei tratti culturali ai quali è collegato.
3. La pubblicità cessa di essere soltanto un’attività che si giustappone al prodotto per farlo vendere. È per certi versi anche parte integrante del prodotto. Contribuisce a crearne il senso e l’identità. Questo non vale solo per i prodotti della moda: vale sempre di più per tutti i prodotti a valore aggiunto.
Questo genere di pubblicità che fa parte di una sorta di design allargato dei prodotti e servizi, forse, non si chiamerà sempre "pubblicità". La sua funzione ha a che fare con una ricerca di senso. Ma allora deve essere veritiera. E non può più permettersi di essere manipolatoria.