Grazie a Roberto Domenichini che nel suo commento al post di ieri contribuisce a chiarire una conseguenza, direi, antropologica dell’approccio alla ricerca che si sviluppa nel contesto concettuale definito dalla cultura dell’ecosistema, della rete, della complessità (mi scuso per l’autocitazione): il merito delle scoperte è proprio dell’insieme degli attori della ricerca nel loro gioco di relazioni. Fa pensare che la ricerca sia tanto più efficace quanto pù una società nel suo insieme sente di vivere un percorso di ricerca. Proprio mentre lo leggevo, tenevo in mano il nuovo libro di Guido Cosenza (La transizione, Feltrinelli). Cosenza arricchisce il ragionamento di Susanne Justesen sulla correlazione tra diversità e innovatività di un sistema nel senso che alla luce della logica dell’ecosistema la diversità è contemporaneamente un elemento di stabilità e un potenziale rischio di collasso. Si direbbe che la diversità nella dinamica dell’innovazione sia un valore tanto più grande quanto più si ha la consapevolezza della pari dignità di tutti i contributi alla ricerca. E dunque nel quadro di un sistema di regole libero e fondamentalmente accettato da tutti i partecipanti. Un eccesso di gerarchia, una eccessiva presenza di pensieri parassitari, una mancanza di rispetto reciproco, sono elementi che fanno recedere il valore creativo della diversità. In questo contesto, la logica della simbiosi è nettamente più feconda. Imho.