Diversità e innovazione

Grazie a Roberto Domenichini che nel suo commento al post di ieri contribuisce a chiarire una conseguenza, direi, antropologica dell’approccio alla ricerca che si sviluppa nel contesto concettuale definito dalla cultura dell’ecosistema, della rete, della complessità (mi scuso per l’autocitazione): il merito delle scoperte è proprio dell’insieme degli attori della ricerca nel loro gioco di relazioni. Fa pensare che la ricerca sia tanto più efficace quanto pù una società nel suo insieme sente di vivere un percorso di ricerca. Immagine di La transizioneProprio mentre lo leggevo, tenevo in mano il nuovo libro di Guido Cosenza (La transizione, Feltrinelli). Cosenza arricchisce il ragionamento di Susanne Justesen sulla correlazione tra diversità e innovatività di un sistema nel senso che alla luce della logica dell’ecosistema la diversità è contemporaneamente un elemento di stabilità e un potenziale rischio di collasso. Si direbbe che la diversità nella dinamica dell’innovazione sia un valore tanto più grande quanto più si ha la consapevolezza della pari dignità di tutti i contributi alla ricerca. E dunque nel quadro di un sistema di regole libero e fondamentalmente accettato da tutti i partecipanti. Un eccesso di gerarchia, una eccessiva presenza di pensieri parassitari, una mancanza di rispetto reciproco, sono elementi che fanno recedere il valore creativo della diversità. In questo contesto, la logica della simbiosi è nettamente più feconda. Imho.

  • Roberto Domenichini |

    Caro Luca (ti do del tu se ti va bene)
    Il saggio Re salomone mi sembra che dicesse: ” Nella moltitudine dei consiglieri c’è la riuscita”.
    La diversità non deve però diventare sinonimo di campanilismo dove si vuole affermare una verità assoluta.
    La diversità deve da noi essere accolta per una crescita spirituale e intellettuale che la connessione tra reti può dare.
    Io detesto l’insulto, il dialogo urlato, e tutto ciò che dietro la parola confronto vuole nascondere un’ostentazione della cultura.
    Questo non vuol dire svendersi. Ciascuno di noi mantiene la propria opinione. Ma con la diversità e il confronto questa opinione potrebbe salire al rango di teoria.
    Noi oggi abbiamo una grande possibilità con la condivisione in rete. Sta a noi utilizzarla in modo corretto!
    Un caro saluto

  • Gualtiero Fantoni |

    C’è un aricolo di Lee Fleming “Perfecting cross-pollination. Harvard Business review Settembere 2004” in cui viene mostrato come la diversità ed il disallinamento delle competenze in un gruppo che fa brainstorming possano generare in ugual misura sia innovazioni radicali che idee dal bassissimo valore. Al contrario team omogenei di solvers risolvono problemi generando solo piccole innovazioni incrementali il cui impatto sui prodotti è decisamente meno significativo.
    Se vogliamo un risultato veramente nuovo ci si deve quindi rassegnare a utilizzare grandi gruppi disomogenei e poi a dover scavare fra le molte idee generate per trovare quelle poche veramente buone? Fleming ci lascia con questo interrogativo, ma dal 2004 ad oggi per fortuna qualcosa è stato fatto …
    nei prossimi post se riesco cerco di tirare su anche qualche grafico (come quello di Fleming) e qualche immagine.

  • Mushin |

    Be’ credo che in merito al legame fra diversità e innovazione sia molto utile ricordare una teoria di matrice aziendale degli anni ’90, mi riferisco a Nonaka e Takeuchi. Il loro concetti di “variabilità minima richiesta”, “fluttuazione” e “caos creativo” esprimono bene il legame fra complessità, governabilità decisionale, innovazione e diversità all’interno di un ecosistema. Produrre conoscenza (e quindi innovare) significa in ultima analisi fare circolare conoscenza. Da cui è intuitivo il valore e l’importanza che la diversità riveste.
    Aggiungerò questo libro alla mia wishlist su anobii, grazie per la segnalazione

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