La tecnologia non ha ucciso i giornali. E la tecnologia non li può
salvare. La tecnologia pone vincoli e offre opportunità. E quando
cambia dà da pensare, a chi vorrebbe coglierle. Come è successo,
abbondantemente, con l’arrivo dell’iPad.
Oltre
il rumore e l’eruzione di aspettative sulle proprietà salvifiche
dell’iPad per l’industria editoriale, la presentazione ufficiale della
settimana scorsa ha lasciato questo argomento sullo sfondo. Steve Jobs
ha puntato tutto sull’obiettivo di dimostrare il valore d’uso specifico
della tavoletta nel panorama degli strumenti digitali, tra cellulari
intelligenti e computer portatili, per convincere gli sviluppatori a
scaricare il "software development kit" – l’unico prodotto davvero
rilasciato dalla Apple quel giorno – e a realizzare applicazioni. In
effetti, una piattaforma nuova si trova sempre davanti al problema
dell’uovo e della gallina: viene prima la diffusione dell’iPad o la
creazione di applicazioni? Se non ci sono applicazioni, l’iPad non
serve a nulla e nessuno lo compra; ma se nessuno lo compra, non si
fanno applicazioni per l’iPad. Quindi, Jobs ha tentato di dimostrare
che l’iPad, già com’è, piacerà ai consumatori, perché sarà dotato di
ottimo software per mail, foto, conti, scrittura, presentazioni, e così
via. E, soprattutto, perché servirà ad accedere comodamente ai
contenuti disponibili in rete, sarà divertente per i giochi – compresi
quelli già sviluppati per l’iPhone-iPodTouch – e si userà per leggere i
libri digitali. Dunque, secondo Jobs, l’iPad si diffonderà tra i
consumatori, anche per quel prezzo del modello base che indubbiamente è
attraente: 499 dollari. E l’editoria?
È evidente che la
progettazione dell’iPad è cominciata molto prima che scoppiassero le
attuali difficoltà delle pubblicazioni giornalistiche. E che ha casomai
subito un’accelerazione dopo il successo del Kindle di Amazon – cui
Jobs ha dedicato un elogio sincero, citando Newton che, solo grazie ai
giganti della scienza che lo avevano preceduto, poteva guardare più
avanti. Sicché, la maggiore innovazione annunciata per l’editoria è
stata l’introduzione del negozio di libri iBookstore: una sorta di
iTunes, dove invece della musica e dei telefilm si possono comprare
libri pubblicati nel formato standard ePub. E l’arrivo dell’iBookstore,
con la relativa libertà che lascia agli editori di fissare il prezzo,
ha già messo in crisi il sistema scelto da Amazon che invece aveva
imposto il suo schema di prezzi fissi.
Ma se i giornali non sono
stati al centro della presentazione di Jobs, non è mancata la sorpresa
del New York Times che ha mostrato la sua soluzione per offrire il
giornale sul tablet: visione panoramica delle pagine, testi
superleggibili, foto-video e ricerca di notizie. Un giornale bello, che
potrebbe forse convincere un pubblico pagante. Jobs però non ha detto
una parola riguardo a una questione chiave: come vendere i giornali
sull’iPad? E non ha lasciato presagire nulla di simile a un’eventuale
iNewsStand, un’edicola per l’iPad. In questo passaggio, forse, si può
leggere un suggerimento. Che potrebbe rivelarsi geniale: se non si
vendono né sull’iBookstore né su iTunes, è perché i giornali sono
applicazioni.
Già. La rete spinge a ridefinire i confini dei
business e le identità delle aziende o dei loro prodotti. Che cosa sono
i giornali senza la carta che li ha portati ai lettori finora? Il loro
contenuto è sempre lo stesso: sono flussi di notizie e progetti
speciali, sono testi, audio e video, sono relazioni tra il pubblico
attivo e le redazioni, soprattutto sono generatori di senso, perché il
loro valore distintivo è nel taglio interpretativo che offrono e
sintetizzano nella tradizione delle loro testate. Ma la struttura
cambia. E nella nuova incarnazione digitale per l’iPad, i giornali
diventano applicazioni: software che organizza l’accesso del pubblico
alle informazioni prodotte, scelte, registrate e interpretate dalla
redazione. Dunque i giornali si venderanno sull’AppStore. Il
significato delle loro testate li distinguerà dalle applicazioni che si
troveranno accanto: aggregatori di blog e servizi di selezione
automatica delle notizie pubblicate sul web. E potranno definire il
loro modello di business: contenuti gratuiti per raccogliere
pubblicità, vendita dell’applicazione per l’accesso, abbonamento,
vendita dei singoli numeri o articoli dietro un micropagamento. Modelli
diversi, da sperimentare, come in parte è successo per l’iPhone. Con la
certezza che sull’iPad, l’esperienza di lettura sarà molto più ricca.
C’è
un’opportunità credibile per vendere i giornali in digitale: ma occorre
immaginazione, design, ricerca. Si può vendere innovazione se si
investe in innovazione.