Business sociale

Questo articolo è stato pubblicato sul Sole 24 Ore, domenica scorsa. Fa parte del filone dell'economia della felicità. Che non è una questione teorica, ma molto pragmatica.

L’esperimento
è stato tentato diverse volte nei “laboratori” di economia sperimentale
organizzati da Luigi Mittone, economista a Trento. E il risultato è
ormai piuttosto consolidato. Si mette insieme un gruppo di persone per
risolvere nel minor tempo possibile un puzzle, con una regola: se un
giocatore è in difficoltà, un altro può aiutarlo, ma per farlo deve
pagare qualcosa. Ebbene, si scopre che il comportamento altruistico è
sostanzialmente maggioritario. Perché un obiettivo comune riesce a
imporsi sull’egoismo. La critica sperimentale dell’ipotesi tradizionale
dell’homo oeconomicus è del resto rafforzata da decine di prove. Nel
test chiamato dell’Ultimatum, per esempio, come riporta Jonah Lehrer nel
suo libro “How we decide” (tradotto in Italia da Codice), una persona
deve dividere con un’altra una somma di denaro e chi lo riceve può
accettare la divisione o meno; se accetta entrambi hanno la loro parte,
se non accetta nessuno prende nulla. La razionalità imporrebbe alla
seconda persona di accettare qualunque somma, perché è comunque
superiore a zero, ma non è così: una divisione ingiusta viene respinta
il che danneggia entrambi i giocatori. Ma l’iniquità è evidentemente più
inaccettabile del mancato guadagno.
Forse,
un periodo di crisi dell’economia favorisce l’emergere di questo genere
di osservazioni. Non per nulla, nelle sale è appena uscito “Niente
paura”, il film incoraggiante di Ligabue, mentre in libreria arriva la
traduzione dell’ultimo libro di Muhammad Yunus, “Si può fare”, e a Riva
del Garda si è appena conclusa una due giorni dedicata all’impresa
sociale: «La crisi è un’opportunità per l’innovazione nella
collaborazione», dice l’organizzatore Carlo Borzaga, presidente di Iris
Network. Non sono slogan a base di ottimismo forzato: chi li propone
appare invece dotato di un fortissimo pragmatismo. Si parte, in tutti e
tre i casi, dall’empatia per la sofferenza e si arriva alla conclusione
che, invece di aspettarsi troppo dall’alto, le società si possono
organizzare per affrontare i loro problemi e magari risolverne un po’.

«La
povertà non è colpa dei poveri» scrive ad esempio Yunus, premio Nobel
per la Pace, fondatore della Grameen Bank e pioniere del microcredito.
La sua idea è che, osservando come le persone siano insieme egoiste e
altruiste, «ci rendiamo immediatamente conto di come ci sia bisogno di
due tipi d'impresa, uno mirato all'arricchimento personale e uno
dedicato all'aiuto degli altri». Il business sociale, quello portato
avanti dal secondo tipo di impresa, è altrettanto fondamentale del
primo, può essere generatore di innovazione ed efficienza quanto il
primo e può rispondere a bisogni dei quali il primo non si può curare.

«Si
danno molti modelli di impresa sociale, come molti sono i contesti e i
problemi economici che si devono affrontare» spiega Borzaga. Ma anche le
motivazioni di chi partecipa sono diverse. Lo dimostrano i diversi
modelli di successo della collaborazione nei network sociali online. In
qualche caso, esemplificato da Wikipedia, il grande progetto comune di
arricchire la disponibilità di conoscenze per tutta la società motiva le
persone a contribuire senza mettersi individualmente in mostra. E in
altri casi, valgono molti progetti, personali e di piccoli gruppi, che
si portano avanti donando tempo e attenzione in cambio di una
soddisfazione immateriale come una forma di prestigio, di amicizia, di
riconoscimento personale: come nel caso di Facebook, piattaforma nella
quale il concetto di dono è simile a quello teorizzato da Marcel Mauss e
fondamentalmente situato non nel dominio della generosità ma dello
scambio di favori. Sta di fatto che tutte queste attività funzionano e
le persone le portano avanti, pur senza incentivi monetari e senza una
chiara razionalità economica. Sicché anche l’impresa sociale potrebbe
essere presa in considerazione come un fenomeno meno marginale per la
vita delle persone.

  • Loris |

    Ma in termini percentuali, rispetto a tutti gli attori di un contesto, quanto pesano quelli che descrivi tu? Ad esempio, su FB, quanti tra gli utenti si spendono per portare avanti attivita` che non abbiano solo un tornaconto personale.
    Perche` anch’io sono ottimista, ma temo che il numero di persone che persegue una ricerca della economia della felicita` sia molto esiguo…

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