Imparando da MySpace

Mike Jones, il capo di MySpace, si affanna a spiegare che il suo servizio ha guadagnato 3,3 milioni di nuovi iscritti da quando ha ridisegnato il sito, meno di tre mesi fa. Eppure, i grafici del traffico dicono un’altra cosa: Quantcast, GoogleAnalitics, Compete segnalano un crollo. E i licenziamenti di martedì di certo non sono un segnale di vitalità. «Riguardano persone che andavano bene nel modello precedente di MySpace, quello del social network», risponde Jones. Sta di fatto che delle circa 1.500 persone di un paio d’anni fa, a MySpace ne resteranno più o meno 500. Non sono numeri da rilancio.

Ma perché è andata così? Innanzitutto perché «il vincitore prende tutta la posta», come spiegava una dozzina d’anni fa Bernardo A. Huberman, scienziato delle reti, allora al Parc della Xerox e oggi all’Hp Labs. La teoria delle reti mostra fra l’altro che una soluzione che funziona per collegare due punti ha un valore crescente geometricamente con il numero dei punti che collega. Il che significa che la tecnologia di rete più usata diventa sempre più usata e quella meno usata viene progressivamente abbandonata. E quando MySpace, nella categoria dei social network generalisti, è stata superata da Facebook, il valore della tecnologia vincitrice è cresciuto esponenzialmente rispetto a quello della seconda in classifica. L’unica soluzione a questo problema, ben noto, è stata quella di cambiare categoria: MySpace non doveva più essere un social network generalista, ma un network per gli artisti – in particolare i musicisti – e i loro fan.

E allora le domande si sdoppiano: perché MySpace ha perso contro Facebook nella categoria dei social network generalisti? E come sta andando la sua virata verso un’identità diversa?
Ha perso perché era molto più difficile da usare. Ed era troppo difficile da usare perché era stato concepito un paio d’anni prima di Facebook ed era pensato per consentire molta libertà di personalizzazione del servizio agli utenti. Facebook era più facile da usare anche perché obbligava a comportamenti molto standardizzati: il che paradossalmente si è rivelato vincente in una tecnologia metaforicamente orientata alla comunicazione tra amici.

Non per nulla la seconda vita di MySpace, per qualche anno, è stata quella di dare spazio agli artisti. Pagine molto personalizzate, per persone che non volevano una relazione alla pari con gli altri, ma una rapporto da modello a fan. È andata bene per un po’ grazie al gran numero di utenti del servizio. Ma la musica era un territorio ipercompetitivo sulla rete. Altri servizi sono emersi in quello spazio che avevano funzioni diverse ma interessanti per gli appassionati, da Last.fm a Pandora e a Spotify. E la stessa YouTube era un’ottima alternativa per il marketing virale dei gruppi musicali, emergenti e non. Persino Apple fatica a imporre il suo social network musicale, Ping. Ed è in questo spazio molto competitivo che MySpace non è stata abbastanza reattiva.

Forse il restyling di qualche mese fa è arrivato troppo tardi per salvare i conti e il livello occupazionale. Non è detto che non abbia alcuna chance per quanto riguarda il futuro. Ma la verifica non sarà sulla valutazione dell’ultimo cambiamento: la verifica si farà sulla capacità di MySpace d’investire in un processo di miglioramento continuo, con l’introduzione di una successione d’innovazioni, strategicamente ben guidate. La storia di MySpace, nell’era News Corp., fin qui, non sembra promettere molto da questo punto di vista.