Don Tapscott

«Mark Zuckerberg mi chiese: che cosa dobbiamo fare con Facebook? Risposi: fatene una versione per le aziende. Diventerà più importante di Oracle e Ibm…». È il racconto di Don Tapscott a Dld, la megaconferenza organizzata da Burda a Monaco. «Qualche giorno dopo Zuckerberg mi chiamò e mi disse: non seguiremo il tuo consiglio. Già. Avevo capito male la domanda: avevo pensato che Zuckerberg mi chiedesse come fare soldi con il suo social network. In realtà, mi chiedeva: come posso cambiare il mondo?». Ed è questa la vera domanda: «Che cosa c’è di sbagliato nel mondo e come lo aggiustiamo?».
Il nuovo libro di Tapscott, autore reso celebre dal suo Wikinomics, si intitola MacroWikinomics e cerca di studiare le conseguenze dell’economia della collaborazione non più solo a livello della singola azienda, ma per quanto riguarda l’intero sistema. «Il sistema bancario nel suo complesso, per esempio, ha dimostrato di avere bisogno di una riforma profonda. E il sistema industriale non ha più benzina, come dimostrano i casi come quello della General Motors. Di fronte alla crisi finanziaria che attraversiamo, non serve a molto tentare di prevedere che cosa succederà: il futuro non si prevede, si realizza. Il problema che abbiamo di fronte non è ciclico: è secolare. Ma una quantità di iniziative che colgono le opportunità di internet si stanno facendo largo. E se n’è parlato in Wikinomics». Si tratta di iniziative che fanno largo uso della logica della condivisione delle conoscenze: si arricchiscono mentre arricchiscono gli altri, funzionano in base a meccanismi a somma positiva. Ebbene, ora Tapscott si domanda come queste innovazioni possono servire alla qualità del sistema nel suo complesso.
«Sicuramente, la motivazione fondamentale per la collaborazione a livello globale discende dalla progressiva diffusione della consapevolezza di ciò che dobbiamo fare per affrontare i problemi ambientali e salvare il pianeta. Ma l’opportunità si trova nella tecnologia della rete. La stampa ci ha consentito l’accesso alla parola scritta, internet ci permette di raggiungere l’autore. La stampa ci ha consentito di registrare la conoscenza, internet ci dà accesso alla mente delle altre persone: è una nuova epoca di intelligenza in rete».
Tapscott è affascinato dagli stormi di uccelli che si muovono eleganti nel cielo, coordinati, ma senza un direttore d’orchestra che dica a ciascun individuo che cosa deve fare: si muovono insieme, si difendono dai predatori, si aggregano, muovendosi in base a poche regole che ciascuno di loro conosce. «Ma che cosa succederebbe se noi riuscissimo non solo a condividere comportamenti e a coordinare i movimenti e le informazioni, ma ad accordare le nostre menti per condividere l’intelligenza? Si potrebbe creare una sorta di coscienza comune delle organizzazioni o delle comunità: le organizzazioni possono imparare. Se riuscissimo a favorire la crescita di organizzazioni capaci di imparare potremmo combattere questa ignoranza pianificata dei gruppi che conosciamo, questa balcanizzazione culturale che ci divide, e affrontare in modo nuovo i grandi problemi del pianeta. Può essere che tutte le promesse che si leggono nel progresso tecnologico vengano mantenute? Non lo so».
Quello che Tapscott sa è che per le organizzazioni – e prima di tutto per le aziende – il presente è pieno di opportunità purché le comprendano. Studiando centinaia di organizzazioni in una dozzina di settori diversi, Tapscott ha identificato alcune regole. Oggi non si crea valore generando un prodotto per poi difenderlo dalla concorrenza, ma creando delle piattaforme che altri possano interpretare per generare a loro volta valore. Oggi si condivide la proprietà intellettuale, si incoraggiano le persone ad auto-organizzarsi, si rafforza il ruolo delle avanguardie innovative, si incentiva la meritocrazia, si dà fiducia ai giovani. E si sviluppa una leadership soltanto mettendosi al servizio dell’insieme.
Può darsi che quando si ascolta Tapscott parlare lo si senta un po’ troppo come un esperto conferenziere di successo. Ma quando lo si legge si colgono i valori più profondi del suo approccio. Con il suo MacroWikinomics, Tapscott torna a ispirare.

  • mauro la spisa |

    Nessuno che sia dotato di buon senso può pensare di frenare l’espansione delle reti.Parlare di ‘guru’ di qualsiasi disciplina o competenza implica qualcosa di ambiguo precisamente a proposito del potere di cui lo si dota: far ‘surrendere’ gli altri. Per es. quando Tapscott dice che ‘il futuro non lo si prevede, lo si realizza’ butta lì uno slogans ad effetto come tanti se ne sono sentiti nel passato sorvolando sulla difficoltà di individuare il ‘bandolo’ del futuro per evitarne i contraccolpi dell’imprevedibile che è dato dalla complessità degli eventi possibili. Per es. mettersi al servizio dell’insieme va bene,salvare il pianeta va bene, libertà,integrità,personalizzazione,valutazione,collaborazione, divertimento vanno bene ma come proporzionare il tutto con la velocità dell’innovazione e della concorrenza nel produrre valore pur sempre legato al crescere della domanda ed alla scarsità dell’offerta? Il sistema-pianeta può ‘sostenere’ tutto questo? La bio-evoluzione può sostenere la velocità neo-corticale? Di più: l’essere costantemente attenti alla Rete da parte dei Net-Gener contravviene ai ritmi discontinui del cervello le cui onde rallentano e accelerano secondo condizioni di vita.Ma l’essere on line ammette pausa, sogno, distacco? Se ‘vincere sui concorrenti’ è il ‘verbo nuovo’ allora devo dire che si tratta del solito vecchio schema iper-capitalistico che eccelererà il collasso antropologico.

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