La storia della proprietà intellettuale mostra come un insieme di teoria e pratica, ideologia e commercio, politica e lobbysmo, abbia forgiato le regole con le quali si gestisce il valore dell’ingegno. Nulla è stabile e intoccabile in materia. I quadri interpretativi variano nelle diverse condizioni storiche. Una dimostrazione è offerta da Adrian Johns, storico dell’Università di Chicago, autore di: «Pirateria. Storia della proprietà intellettuale da Gutenberg a Google» (Bollati Boringhieri). Johns ripercorre la vicenda, mostra come principi e interessi contrastanti abbiano sempre giocato un ruolo. Il potere legislativo ha cercato di trovare i compromessi più accettabili tra l’interesse dei fabbricanti di macchine e libri, che volevano la concessione di privilegi monopolistici sulle opere che producevano, e l’esigenza pubblica di arricchire il patrimonio comune della conoscenza. L’accettabilità dei compromessi dipende dal paradigma tecnologico. Ed è chiaro, dice Johns, che tra il Settecento e oggi, il paradigma è cambiato. Biologia e digitale non si adattano ai vecchi compromessi. E quindi, da storico, si aspetta che la proprietà intellettuale del futuro sarà regolata diversamente.
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