Articolo pubblicato su Nòva24 il 6 gennaio 2013
Il futuro del copyright è più solido da quando ci sono i creative commons. Non sono un attacco al diritto d’autore ma un modo per dare senso a quel diritto nel contesto digitale. I creative commons infatti non mettono in discussione il fatto che una persona abbia un diritto sulla propria opera e gli offrono l’opportunità di destinarla a diversi utilizzi, non solo a concederla in esclusiva a un editore.
La conseguenza microeconomica dei creative commons è la separazione degli interessi degli autori da quelli degli editori: potendo scegliere tra diverse licenze per la loro opera, gli autori possono affidarla a un editore o consentire a chi inventa nuove forme per usarla di svilupparle senza timori. Nel contesto digitale le opere autoriali possono essere facilmente remixate, citate e rielaborate in vari modi. L’autore può continuare a combattere per impedire ad altri di copiare la sua opera oppure può usarla come un mezzo per alimentare la propria notorietà, concedendo ad altri la possibilità di modificarla e farla circolare sui social network. La vicepresidente della Commissione Europea, Neelie Kroes, da tempo sostiene l’opportunità di una modernizzazione del trattamento del diritto d’autore. E i creative commons sono un contributo.
Da un punto di vista più generale, i creative commons sono un’attualizzazione del tradizionale concetto di commons adattato all’economia della conoscenza. I beni comuni, in effetti, sono da sempre una forma terza di "proprietà" rispetto a quelle privata e statale. Hanno vissuto una storia millenaria e varie crisi: da quelle relative all’incapacità delle comunità di gestirli a quelle collegate alle privatizzazioni operate in nome dell’efficienza, come avvenuto con i pascoli inglesi della rivoluzione agricola. Ma si sono anche dimostrati molto efficaci nel tenere insieme le società nei periodi storici nei quali le risorse dello stato e le congiunture del mercato non davano sicurezze.
Bisogna ammettere che l’Occidente attraversa uno di quei periodi. E poiché la trasformazione economica in atto privilegia le risorse della conoscenza, perché il valore si concentra sull’immateriale – la ricerca, l’immagine, l’informazione, la progettazione – e i prodotti industriali hanno un prezzo tanto maggiore quanto più riescono a trasportare conoscenza, i creative commons si dimostrano uno strumento utilissimo: per rigenerare il patrimonio comune di conoscenza dal quale sgorga il valore privato e comunitario, per sostenere le pratiche di condivisione, per impedire le forme più artificiose di speculazione sul sapere. Non a caso, i progetti speciali dell’organizzazione che gestisce gli standard delle licenze creative commons si concentrano sulla scienza e l’educazione, i luoghi culturali nei quali avvengono gli investimenti strategici per la contemporaneità.