Molti hanno notato il filmato che ricostruisce la storia della Programma 101, il primo personal computer della storia, uscito nel 1965 e diventato un successo straordinario, soprattutto negli Stati Uniti, con una vendita di 44 mila pezzi. Il gruppo guidato da Pier Giorgio Perotto all'Olivetti è entrato nella storia dell'informatica.
Il bello del documentario è il tono allegro e scanzonato. Privo di quella tragica afflizione tipica degli italiani che guardano al proprio passato rimpiangendone i fasti e i successi. È piuttosto un documentario istruttivo, che mostra come l'invenzione sia sorta dalla combinazione di un obiettivo ambizioso, con una fantastica dimestichezza con l'innovazione tecnologica, con una sensibilità italianissima per il design industriale, con un ambiente di lavoro fondamentalmente felice.
Certo, si può continuare a porre la fatidica serie di domande sul declino: perché l'Olivetti è riuscita a uscire per prima con un computer da scrivania perfettamente funzionante e apprezzato dal mercato ma non è riuscita a restare in testa successivamente? E perché poi ha abbandonato la strada che aveva contribuito a tracciare? Perché non ha saputo aggiornarsi ai tempi che nel frattempo mutavano?
I pionieri sono diversi dai costruttori di imperi. Gli ambienti di lavoro felici vanno coltivati a tutti i livelli. Il primato tecnologico non è mai al sicuro dalla concorrenza. Gli obiettivi di chi fa cose grandi devono essere e restare grandi. Alcune di queste circostanze si sono mostrate nel tempo a sfavore dell'Olivetti.
Tutto questo però non significa che l'Italia sia condannata. I casi recenti di primati italiani nell'elettronica non mancano, dagli accelerometri della Stm all'Arduino di Massimo Banzi. Possiamo però certamente fare di più per coltivarli e contaminare il sistema industriale italiano di innovatività.
Il fascino dell'Olivetti resterà nella storia. Ma non ci serve a nulla rimpiangerlo: è molto meglio che ci serva di ispirazione per fare altre cose importanti. È del tutto possibile.