Instant articles è dunque la nuova proposta di Facebook agli editori. I benefici tecnologici sono la velocità di accesso per articoli ricchi di linguaggi: con le foto da esplorare inclinando il cellulare e localizzate subito su una mappa, i video che si avviano immediatamente, la possibilità di mantere la grafica delle diverse testate anche nel social network. Il vantaggio economico è semplice: gli editori che raccolgono la loro pubblicità se ne tengono il 100%, mentre ottengono in genere il 70% della pubblicità raccolta da Facebook sulle pagine dei loro articoli.
Insomma, il tentativo di Facebook è quello di attirare i contenuti di qualità degli editori facendo fare un salto di qualità alla sua piattaforma.
Un tempo i giornali visionari decidevano in base al mantra “digital first” e promettevano di pubblicare le notizie sul web appena le avevano senza aspettare l’edizione cartacea; oggi, sapendo quanto è importante per i lettori leggere le notizie appena possono sul cellulare, i nuovi visionari dicono “mobile first”. Forse Facebook spera di poter convincere gli editori che la prossima mossa vincente sia passare al “social first”.
I favorevoli mettono in luce come i grandi giornali che hanno accettato di pubblicare articoli con questo sistema – dal New York Times al Guardian – pragmaticamente cercano di servire il vasto pubblico del social network e di trarne un reddito aggiuntivo.
I critici sottolineano come in questo modo Facebook diventi ancora più rilevante – già oggi raccoglie un terzo della pubblicità mobile in Usa, dice eMarketer – e come il suo algorimo conquisti il potere di generare la gerarchia delle notizie per ciascuno dei suoi utenti. Inoltre, costringe gli editori a competere articolo per articolo, tentando si inseguire le curiosità di un pubblico abituato a un contesto diverso da quello di una testata tradizionale.
Il dilemma è conseguenza delle scelte passate: finora gli editori hanno perso la battaglia tecnologica, per mancanza di visione o di coraggio, e devono adattarsi. Per riconquistare le posizioni perdute devono innovare. E non sarà facile.
Articolo pubblicato su Nòva il 17 maggio 2015