Internet divisa non è internet

Il Dipartimento di Giustizia americano pretende dalla Microsoft l’accesso alla posta elettronica degli utenti anche quando si trova su server europei. Ma al di là dell’Atlantico le istituzioni non sono d’accordo: la Corte di Giustizia europea protegge la privacy dei cittadini abolendo il vecchio safe harbor, nato prima che esistessero i servizi cloud attuali e quando non si sapeva delle indagini di massa condotte dall’Nsa. L’unità di internet è in crisi. In Occidente la tendenza a concentrare tutto il traffico internet in poche piattaforme sovranazionali finisce per scontrarsi con le diverse interpretazioni nazionali della legge, che a loro volta rischiano di dividere la rete in sezioni locali. In Oriente, in Cina per esempio, e altrove, questo è già avvenuto.
Intanto, certe interpretazioni del mercato unico digitale europeo sembrano indicare la tendenza a dividere la rete in due dimensioni: una sezione, neutrale, continuerebbe a essere internet, mentre altri servizi privilegiati e protetti sarebbero offerti su reti dedicate e prioritizzate. E questa divisione potrebbe diventare manifesta con l’avvento della cosiddetta internet delle cose, che  in parte si potrebbe configuare come sistema di reti non standard, anche per ragioni di sicurezza, dedicate alla sanità, ai trasporti, alla difesa e altro. Tema accennato in uno studio realizzato dalla comunità dei talenti italiani all’estero dell’Aspen Institute. Al di sotto di tutto questo vive e cresce la cosiddetta “darknet” cui si accede soltanto con browser e autorizzazioni speciali, fatta per proteggere l’identità degli utenti per ogni genere di attività, legale e illegale.
Una grande infrastruttura standard e interoperabile come internet ha lanciato una fioritura di novità e di startup, necessaria allo sviluppo contemporaneo, come si vede anche dagli studi recenti di Digital Magics, Action Institute, Accenture e altri. Va protetta e manutenuta.
Le altre reti, separate e non standard, non sono internet e servono a obiettivi specifici. Chi vuole investire su queste reti proprietarie lo può sempre fare. Basta dire che quelle reti prioritizzate non sono internet. Ma qualunque politica economica intelligente continua a investire anche e soprattutto sulla crescita dell’internet neutrale che genera sviluppo per l’economia, la cultura, la cittadinanza e il bene comune.
Articolo pubblicato su Nòva l’11 ottobre 2015