Il futuro del ministro del futuro

In Svezia c’è il ministro per le strategie future e la cooperazione nordica. L’incarico è affidato a Kristina Persson, una carriera nell’ambito dell’economia e del sindacato e ora, appunto, ministro del futuro. Persson era a Pescara per ricevere il premio offerto ogni anno da Pomilio Blumm. E ha trovato il tempo di rispondere a qualche domanda sul suo mestiere. Non deve essere facile gestire un compito del genere: «Non facciamo ricerche sul futuro. Prendiamo in considerazione quello che già sappiamo e cerchiamo soluzioni». Che cosa sappiamo del futuro? «Che dobbiamo fronteggiare il cambiamento climatico. Che la tecnologia cambia le condizioni del lavoro. Che le migrazioni rendono necessaria l’innovazione sociale. Che la democrazia rischia meno se coltiviamo una cultura civica condivisa. Su queste e altre questioni il futuro pone sfide già chiare e noi ci prepariamo cercando soluzioni». Quindi si può fare policy guardando consapevolmente al futuro. «Il mio ruolo è quello di servire a tutto il governo, con uno sguardo olistico e orientato al lungo termine». Sembra l’utopia del governo illuminato. «L’idea è che il governo abbia modo di svincolarsi dalle tensioni quotidiane, che limitano la libertà d’azione politica chiudendola nell’urgenza della polemica del momento. Il premier è convinto che la nostra politica sarà migliore, più indipendente e proattiva se riusciamo a impostare una discussione convincente e continuativa sul modo intelligente di affrontare le sfide che il futuro ci riserva e che già vediamo presentarsi al nostro orizzonte». È evidente che in questo modo lo stato conquista un ruolo attivo nella progettazione delle soluzioni necessarie ad affrontare il futuro invece che dipendere dalle sollecitazioni mediatiche del momento. E i cittadini dibattono su questioni concrete ma anche dense di senso e prospettiva. L’Italia assomiglia alla Svezia in termini di pressione fiscale, ma è meno abituata alla discussione pubblica orientata al lungo termine, preferendo forme di contrapposizione più ideologica e meno pragmatica. Ma si può sempre imparare.
Articolo pubblicato su Nòva il 13 marzo 2016