Ecologia dei media e ambiente naturale

Tutto si tiene, diceva Fernand Braudel, grande storico, uno dei maestri della scuola delle Annales. E il lavoro del Mit con il Club di Roma, negli stessi anni Settanta del XX secolo, cercava di creare modelli matematici del pianeta che servissero ad chiarire la connessione tra le variabili dello sviluppo economico e quelle del consumo di risorse naturali nel pianeta. Da allora il concetto di ambiente ha fatto molta strada: ha cessato di essere un insieme infinito di strumenti a disposizione della crescita dell’economia ed è diventato un ecosistema nel quale ogni specie coevolve, cerca o crea le sue nicchie ecologiche, alle quali successivamente si adatta modificandosi, per via genetica o per via culturale. Con internet, poi, l’idea che tutto sia connesso è diventata una realtà tangibile e per nulla virtuale sicché nell’ambiente naturale e umano è entrato fisicamente l’ecosistema dei media, come aveva intuito Neil Postman, studioso che, anche lui negli anni Settanta, ha contribuito a fondare, appunto, l’ecologia dei media. Sicché oggi concepiamo l’ecosistema vivente del quale tutto fa parte, nel quale ogni parte si adatta alle altre in un complesso insieme di mutazioni, adattamenti, connessioni, estinzioni, evoluzioni. Paolo Granata, che insegna a Toronto e Bologna ne ha scritto nel suo “Ecologia dei media” (FrancoAngeli, 2015) mostrando l’ampiezza della ricerca in materia. Ed Elena Lamberti, a sua volta tra Bologna e Toronto, ha ridefinito il rapporto tra la dimensione umanistica e tecnica con il suo “McLuhan’s Mosaic: Probing the Literary Origins of Media Studies” (University of Toronto Press, 2012). Hanno organizzato il congresso dell’associazione internazionale degli studiosi di Media Ecology a Bologna nei giorni scorsi: contributo alla consapevolezza delle responsabilità e delle capacità umane. Che il biologo Edward Wilson suggerisce si spingano al punto di lasciare che la natura si riprenda – come nel titolo del suo ultimo libro – la “Metà del pianeta” (Codice 2016). Tutto si tiene. Molto è possibile.
Articolo pubblicato su Nòva il 26 giugno 2016