Zuckerberg non è un capo di stato

Nel febbraio del 1996, John Perry Barlow, poeta e pioniere del digitale, pubblicò la Dichiarazione d’indipendenza del cyberspazio. Era rivolta ai governi dei paesi industrializzati e negava la loro sovranità sulla rete, la sua «nuova casa mentale», il luogo nel quale lui e i suoi simili si radunavano. Una dichiarazione anarchica, basata sulla metafora del cyberspazio e sulla concretezza di una tecnologia straordinariamente aperta, libera, potente. Oggi, lo spazio di internet è diventato più complesso, popoloso, stratificato, ambiguo. I milioni di internettiani di allora sono diventati miliardi. La proprietà comune del protocollo internet è stata sfruttata da aziende private, divenute in pochi anni giganti globali, capaci di attirare sui loro server la maggior parte del tempo che gli umani passano in rete. Ma la tentazione di paragonare questo spazio a un territorio interpretabile politicamente non è scaduta. Il ritornello secondo il quale, per esempio, Facebook è il più popoloso stato del pianeta non cessa di trovare spazio nelle cronache. Sicché quando Mark Zuckerberg esprime la sua visione sulla comunità che si sviluppa sulla sua Facebook, molti lo leggono come un capo di stato che annuncia una politica. Giovedì scorso “Zuck” ha parlato. Ha detto che la missione di Facebook è costruire l’infrastruttura sociale della comunità globale. Vuole essere di supporto alle comunità umane in modo che siano sicure, informate, inclusive, impegnate civilmente. Ha ammesso che la struttura della piattaforma influisce su questi obiettivi. Ha ammesso la tendenza alla polarizzazione delle opinioni e delle aggregazioni che si manifesta nella forma attuale del social network. Ha detto, senza chiarire come, che per il futuro Facebook dovrà correggere questi difetti. Come un capo di stato, “Zuck” ha espresso le dichiarazioni di principio con più forza di quella che ha dedicato a spiegare bene che cosa farà. Vedremo se, non essendo un capo di stato, troverà meno ostacoli per realizzare quanto promesso.
Articolo pubblicato su Nòva il 19 febbraio 2017