Gentile Luca De Biase,
plauso e condivisione in toto alla lettera di Giorgio De Michelis sulla troppa tiepidità delle Università verso le lauree informatiche e affini, così tanto gettonate nel mondo del lavoro (Il Sole 24 Ore del 13 maggio).
Ma c’è un problema… a monte. Troppe giovani matricole, come da tempo segnala la stampa, hanno gravissime carenze nell’esprimersi e nel capire l’italiano, hanno forti deficit in matematica, lacune nelle discipline scientifiche e sociali in genere, ecc : programmi ministeriali non sempre aggiornati e non sempre svolti per mancanza di tempo. Di conseguenza, come denunciato da ben 600 cattedratici, non è raro che l’università inizi con dialoghi tra sordi, prosegua col migrare tra facoltà varie e termini con tesi a strafalcioni (a parte le tante eccellenze che pure vi sono).
L’alternanza scuola-lavoro al triennio finale di tutte le superiori, tranne taluni casi territoriali in cui può essere preziosa, non è una soluzione, anzi …!
Presuppone un aggirarsi indiscriminato ed estemporaneo di milioni di minorenni in cerca non si sa bene di che cosa, con dubbi sul dove, incertezze sul quando, ignorando con chi, per operare non si sa come. Falcidiando purtroppo rilevanti quote di vere lezioni frontali così necessarie agli altissimi livelli tecnico-scientifici raggiunti; con dispersione sul territorio di docenti e dirigenti; confusioni per classi semispopolate che difficilmente ricupereranno; intralci allo studio a casa; problemi aggiunti e spese per le famiglie, e altro ancora. Ciò in opposto all’incremento delle lezioni frontali: informatica, inglese, finanza, economia, legalità, arte, geografia, dialettica scolastica, lettura giornali, ecc; su cui – contraddicendosi – sovente si disserta e invano si promette. È auspicabile che si abbia contezza di come la solida e propedeutica realtà dell’istruzione canonica medio-superiore passi dalle aule e maturi sui banchi e non attraverso posticci canali. Poi viene l’Università, mirata! Oppure il lavoro, consapevole! L’iter di formazione lavorativa si può benissimo fare, appropriato e a tempo pieno (magari ufficializzandolo a corredo della maturità) ma solo dopo il diploma, senza intralciare la scuola: utilizzando l’immancabile periodo di vacatio post maturità. Ciò con attività di apprendistato, volontariato, servizio civile, praticantato, campi scuola, artigianato territoriale, stage, corsi di base, corsi regionali, formazione continua, esperienze all’estero, pa, ecc. Dedicandovi ben mirati incentivi governativi in dote alla Buona scuola, piuttosto che spenderli in una generica e ingombrante alternanza scuola -lavoro in corso d’opera.
Per giunta nei periodi più critici della vita studentesca dei nostri adolescenti, alle prese con i ricuperi di deficit, prove Invalsi, difficoltà logistiche, ambientali, economiche (ed esistenziali !), esami di Stato.
Luigi Felizzi
Caro Ferlizzi aggiungerei che è tempo di farla finita con la vecchia contrapposizione tra la cultura umanistica e quella tecnico-scientifica. Così come dovrebbe essere messa in discussione l’ossessione della specializzazione, in un mondo che richiede adattabilità e apertura mentale. L’alternanza scuola-lavoro che lei critica, per motivi pragmatici, in teoria sarebbe un bel correttivo a una trasformazione dei curricula scolastici: più aperti e creativi in classe, più concreti nella relazione tra la classe e il territorio produttivo. Ma, come si sa, in teoria, la teoria coincide con la pratica; in pratica no.
Curiosità e iniziativa
Di fronte ai mutamenti sempre più rapidi che stanno caratterizzando i tempi recenti (indotti dalle tecnologie, dalle congiunture economiche, dalle abitudini di consumo) mi capita spesso di riflettere e interrogarmi sulle conseguenze, in parte già visibili, che tutto ciò comporta sul futuro del lavoro e delle organizzazioni.
Mi chiedo, in particolare, quanto le aziende e la classe dirigente siano, non solo coscienti degli impatti possibili (ad esempio i temi della cosiddetta “disoccupazione tecnologica”), ma soprattutto preparati ad affrontare queste nuove sfide prendendosi il rischio di aprire nuove strade.
Al di là di qualche esempio illuminato, talvolta raccontato sulle pagine di questo giornale, trovo che oggi emerga più “preoccupazione disinformata” sulle minacce possibili, che curiosità e spirito di iniziativa nel cogliere opportunità in buona parte ancora da immaginare.
Roberto Battaglia
Servizio pubblicato sul Sole 24 Ore il 20 maggio 2017