Cara Redazione,
pongo alla vostra attenzione un tema che come Italia Startup, Associazione italiana delle startup, gestiamo sempre più di frequente e che apre questioni di fondamentale importanza per il presente e il futuro delle imprese italiane, siano esse aziende consolidate e manifatturiere, oppure giovani, innovative e ad alto potenziale di crescita (startup).
La domanda di fondo è: perchè in Italia ancora non decolla, come in altri sistemi, la contaminazione tra l’industria manifatturiera e l’innovazione aperta portata dalle startup e dai loro partner (incubatori, parchi scientifici, investitori)?
Gli ingredienti perchè questo incontro virtuoso avvenga, ci sono tutti: a) le imprese manifatturiere italiane investono tanto in innovazione e in R&D, prova ne è la capacità di molte di loro di essere ancora fortemente solide e competitive, nonostante la crisi durissima che ha attraversato i mercati mondiali dal 2008 in avanti: i dati dell’export italiano 2016 confermano l’ottima salute di cui gode la manifattura italiana; b) il sistema delle startup italiane si sta consolidando e, nonostante il ritardo di investimenti rispetto ad altri sistemi industriali analoghi al nostro (Francia e Germania in primis), stanno emergendo non poche “champions” alcune delle quali di taglio manifatturiero e industriale, a supporto dell’innovazione sia di prodotto che di processo produttivo del nostro sistema industriale, oltre che di quello mondiale; c) con la Legge di Stabilità e con Industria 4.0 si è completato un quadro normativo molto favorevole agli investimenti in innovazione industriale, in startup, in ricerca e sviluppo, ecc. Il punto è che i pionieri, cioè le imprese mature e le startup che provano a contaminarsi, sono ancora pochi. Il fenomeno è ben lontano dall’essere maturo, sia quanto a numeri assoluti (qualche centinaia di piccole e medie imprese investono in startup innovative, secondo dati Cerved-Italia Startup), sia quanto a investimenti (qui il dato non è rilevato, ma secondo nostre stime è nell’ordine complessivo di qualche decina di milioni di €). Nel gioco della domanda (le imprese consolidate) e dell’offerta (l’ecosistema startup) di innovazione aperta – sia lato servizi sia soprattutto lato prodotti – non si capisce se è la prima che non decolla o se è la seconda che non ha ancora una proposta adeguata. O forse entrambi i motivi. A cui si aggiunge quello dell’ancora ridotto utilizzo (o forse poca chiarezza?) dei provvedimenti legislativi a supporto. Mi farebbe piacere avere un vostro parere in merito
Federico Barilli
Caro Barilli
Grande tema. Da un lato, bisogna ammettere che quanto è avvenuto dall’ìnizio della policy a favore delle startup, avviata dal governo nel 2012 e portata avanti da tutti governi successivi è positivo: la quantità di imprese innovative che sono partite è significativa come il Mise non cessa di segnalare, il venture capital resta piccolissimo per le dimensioni del paese ma è cresciuto in termini qualitativi e anche un po’ quantitativi, le grandi aziende che fanno corporate venture capital si sono fatte vedere, i luoghi dell’accelerazione si sono moltiplicati e hanno cominciato a consolidarsi. Dall’altro lato, rispetto all’economia italiana, la dimensione del sistema delle startup resta piccola: le acquisizioni da grandi imprese non sono all’ordine del giorno, l’innovatività dei settori forti dell’industria italiana continua ad alimentarsi molto nel modo tradizionale. È comprensibile, in un sistema come quello italiano, dove l’innovazione è prevalentemente finanziata con il fatturato, le dimensioni aziendali sono limitate, la cultura dell’innovazione è portata avanti più dal talento degli imprenditori che da strutture organizzate per l’open innovation, la finanza è asfittica e il risparmio è predisposto più alla rendita che al rischio. Il lavoro necessario a modernizzare il processo innovativo in Italia in modo da assorbire la logica delle startup è lungo, paziente e serio. Il fatto che per qualche anno la questione delle startup abbia vissuto in una bolla di fuffa modaiola non ha aiutato. Si è andati troppo a imitazione delle logiche straniere e poco a interpretare i punti di forza del nostro sistema produttivo, in un contesto nel quale la riduzione delle spese in ricerca e del numero degli studenti universitari è andato in direzione opposta a quello che serve nell’economia della conoscenza. Ma gli italiani maturano: c’è già meno immagine e più economia reale nelle strategie delle aziende che lavorano con le startup e degli acceleratori che vanno avanti. C’è una potenziale crescita di interesse del mercato Aim alla borsa, con tutte le cautele del caso in un contesto tanto complesso, e i casi di quotazioni che portano sviluppocominciano a vedersi. C’è anche una fase dell’innovazione più adatta alla nostra cultura, più manifatturiera che softwaristica. Ora è importante che le imprese vedano nelle startup altrettante opportunità e che il piano industria 4.0 si connetta anche all’ecosistema delle startup. Ma vale la pena di sottolineare un dato: una policy intelligente, paziente e competente è possibile anche in Italia. In questo caso si è visto.
Servizio pubblicato sul Sole 24 Ore il 27 maggio 2017