Diamo forma ai nostri strumenti e poi loro danno nuova forma a noi diceva Marshall McLuhan. Se pensiamo alla tecnologia come a «un’estensione delle nostre facoltà» che ci rende capaci di «adattarci a vari ambienti» (McLuhan, ’60), è facile iniziare a vedere la tecnologia stessa come un tentativo inconscio di risolvere un problema di adattamento e non come un semplice “colpo di genio”. Nel 19esimo secolo, le tecnologie basate sull’elettricità hanno posto le basi per una transizione tra le processi meccanici e processi automatici. Quando il telegrafo sostituì la stampa come mezzo di comunicazione di massa, si poteva pensare che si trattasse di una semplice evoluzione della tecnologia precedente. L’automazione è vista spesso come il risultato della semplice esagerazione di alcune peculiarità della meccanica, come la velocità o la ripetizione, ma questo è solo un tipico caso di fraintendimento di una tecnologia quando si presenta per la prima volta sul palcoscenico sociale. Un processo, un mezzo o una tecnologia meccanica è specializzato, frammentato e lineare.
L’automazione è l’esatto contrario. Poiché fornisce un alto livello di interrelazione tra tutti gli elementi, è generale, coinvolgente e discontinua. Promuove così la completa decentralizzazione e non richiede alcuna autorità centrale per poter ben funzionare. Riscopriamo oggi il concetto di “decentralizzazione” grazie al settore Fintech e a tecnologie come Blockchain. In realtà McLuhan utilizzava quell’espressione già negli anni ’60 del ’900, considerandola un aspetto fondamentale della rivoluzione insita nei media elettrici. Da quando sono comparsi i media elettrici, i prodotti sono divenuti servizi e gli esseri umani si sono trasformati in «raccoglitori nomadi di informazioni». Alla velocità della luce, anche i soldi sono diventati informazione. Non è per caso che il termine “carta di credito” sia comparso per la prima volta nel 1887 in un romanzo di fantascienza dell’inglese Edward Bellamy. Quello è stato il periodo di massima diffusione del telegrafo, il primo mezzo elettrico che ha consentito comunicazioni istantanee. Prima di quel momento, il denaro non aveva mai perduto la sua materialità. L’automazione è un processo iniziato più di un secolo fa.(…) Quando ci chiediamo “L’automazione cancella il lavoro?”, rendiamo evidente la mentalità lineare, meccanica e standardizzata che abbiamo acquisito da quell’era meccanica che già oggi è morta e sepolta. Nell’era dell’automazione ci sono solo ruoli, non lavori specialistici. Questo perché «… le trame sociali latenti nell’automazione sono quelle del lavoro autonomo e dell’autonomia artistica» (McLuhan, ’64).
Stefano Nicoletti
Caro Nicoletti, a un secolo dalla nascita, ricordare Marshall McLuhan è necessario. Il professore canadese è diventato l’icona degli studi sui media, cioè della relazione tra la tecnologia e la cultura. E se c’è un carattere fondamentale nella grande trasformazione attuale è proprio la sua qualità di mediatizzazione dell’innovazione: non solo non è vero che con la cultura non si mangia, ma al contrario è vero che tutto ciò che si mangia, che si produce, che si valorizza, è culturale. Le sue non sono considerazioni astratte ma centrali per comprendere come stiamo evolvendo. Le sue parole consentono di mettere in luce un aspetto della spinta tecnologica che a volte si dimentica: non sono le macchine a prendere il posto dei lavoratori, sono coloro che le progettano, le finanziano, le applicano a volerle usare per aumentare la produttività dei lavoratori o sostituirli. La responsabilità delle conseguenze della tecnologia è umana.
Rubrica pubblicata il 1 luglio 2017 sul Sole 24 Ore