La banalità del malware /2

Il caso della sicurezza violata all’Unicredit dimostra quanto sia complessa la difesa di una rete digitale. Le banche sono naturalmente tra le organizzazioni che più, e meglio, investono per garantire la cybersicurezza. E se i criminali riescono a mettere in difficoltà le banche, si può immaginare quanto possano essere in grado di sfruttare le debolezze di altre organizzazioni. È tempo di prendere atto che questo aspetto è parte integrante della crescita digitale e ne offre una vista un po’ più problematica di quella basata soltanto sulla fede nel progresso e nella legge di Moore. Proprio perché la crescita esponenziale della capacità di elaborazione dei microprocessori rafforza sia chi difende e sia chi attacca la cybersicurezza. Per esempio questa questione dovrebbe diventare parte integrante delle discussioni sul futuro del trasporto basato su auto connesse, elettriche e magari a guida autonoma. O su camion e navi senza conducente. Tenendo conto della cybersicurezza, si porrebbe forse in modo più realistico il problema di prevedere quando quelle tecnologie possano cambiare il volto del trasporto di merci e persone. Si può parlare allo stesso modo di tutto ciò che riguarda la cosiddetta “internet delle cose”: a partire dalla produzione di energia con i mulini a vento, per arrivare alla domotica e alla logistica industriale fondata sulle comunicazioni tra macchine dotate di sensori e collegate a centrali di elaborazione in cloud. Tutto questo insieme di frontiere, fondamentali per lo sviluppo, va considerato per la sua qualità generativa ma tenendo presenti anche i possibili momenti di blocco del progresso, causati dalla probabilità che sempre nuove forme di attacco alla cybersicurezza non cessino di palesarsi all’orizzonte. Niente di tutto questo mette in discussione l’avanzata digitale e la sua dirompente capacità di innovare i sistemi. Ma chi voglia immaginarne il futuro non può fare a meno di tener conto dei fenomeni frenanti. E progettare i modi per superarli. Anche quando non sono tecnici ma culturali.
Articolo pubblicato su Nòva il 30 luglio 2017