Otto scenari per il lavoro del futuro

Il concetto di futuro può apparire astratto. Ma l’idea di lavoro del futuro induce a pensieri molto concreti: pensieri dedicati al destino dei figli, all’avvenire di chi lavora, all’evoluzione dei sistemi formativi, alla trasformazione dei modi di gestire le risorse umane, alla definizione di policy che abbiano senso. Resta il fatto però che per pensare al lavoro del futuro occorre imparare a pensare il futuro. Un esempio è il rapporto “Eight Futures of Work” del World Economic Forum. Si tratta di una classica analisi di scenario: non è fatta per prevedere il futuro ma per razionalizzare la nostra comprensione delle conseguenze di alcune possibili eventualità. In questo caso, gli analisti hanno preso in considerazione tre variabili: l’accelerazione più o meno spinta del cambiamento tecnologico, la velocità più o meno elevata dell’evoluzione dei sistemi formativi, la mobilità più o meno grande dei talenti. Ne vengono fuori otto scenari. Eccone alcuni. Un territorio che si trovi in una condizione nella quale tutte le tre variabili sono al minimo della dinamica, avrà un peggioramento della competitività tanto accentuato da confinarlo al protezionismo e al declino. Se c’è forte accelerazione della tecnologia ma bassa crescita dei sistemi educativi e della mobilità dei talenti, si assiste alla sostituizione di lavoratori con macchine e a una polarizzazione sociale, con conseguenti disordini sociali. Se in un territorio tutte le variabili si muovono al massimo della velocità, c’è una forte crescita dell’economia della conoscenza e una società che si adatta rapidamente ai cambiamenti anche radicali. Leggendo questi scenari, si ha l’impressione che sull’investimento in educazione e sull’apertura alla circolazione dei talenti si giochi la capacità delle società di competere in modo efficace nel quadro comunque sfidante della globalizzazione e del più o meno profondo ritmo dell’innovazione. La mutazione tecnologica può essere affrontata in modo vincente soltanto agendo costruttivamente sull’evoluzione culturale.
Articolo pubblicato su Nòva il 28 gennaio 2018