La transizione digitale, la riforma robotica della produzione, l’impatto del machine learning nelle organizzazioni, generano opportunità e rischi. «Ci sono infinite possibilità per migliorare la qualità della vita, aumentare la libertà di scelta, ridurre lo squilibrio di genere, rovesciare la tendenza verso l’ineguaglianza globale. Ma nulla avverrà automaticamente. Senza un’azione decisa andremo in un mondo nel quale peggiorano le ineguaglianze e le incertezze», si legge nel nuovo rapporto dell’International Labour Organization (Ilo) intitolato “Work for a brighter future”. Il rapporto stilato dalla Global Commission on the Future of Work, alla quale ha partecipato anche l’economista Enrico Giovannini, mostra come in effetti le tecnologie dell’automazione genereranno nuovi posti di lavoro, ma metteranno le persone che perderanno il proprio in una condizione di difficoltà perché saranno probabilmente le meno attrezzate per cogliere le nuove opportunità. Secondo Gartner, il numero di posti creati in relazione all’intelligenza artificiale supererà quello dei posti distrutti entro un paio d’anni. Ma è possibile che i nuovi posti si sviluppino lontano dai luoghi nei quali i vecchi lavori scompaiono. È un fenomeno già avviato da qualche tempo. Paul Collier lo descrive nel suo libro “The future of capitalism. Facing the new anxieties” (Allen Lane, 2018). Un terremoto sociale sta separando le regioni, i ceti, le culture. E la linea di demarcazione fondamentale è quella che separa coloro che hanno un’educazione di qualità da coloro che non ce l’hanno, dice Collier. Il tutto avverrà anche in relazione a fenomeni sacrosanti come la riqualificazione della produzione di energia in direzione dell’abbandono del consumo di petrolio e gas, a favore del solare e dell’eolico. Per non parlare delle fabbriche e delle grandi organizzazioni logistiche e di servizio. I nuovi lavoratori non saranno necessariamente nei luoghi dove sono occupati gli attuali lavoratori, i valori dei nuovi lavoratori potranno essere diversi da quelli dei vecchi, l’istruzione dei nuovi sarà probabilmente diversa da quella dei vecchi. Insomma la transizione andrà gestita, centimetro per centimetro: perché quella che è avvenuto finora ha già lasciato dietro di sé conflitti, insofferenze, rancori, soprattutto tra coloro che non hanno la preparazione adatta a cogliere le opportunità offerte dal nuovo paradigma. Per questo l’Ilo suggerisce di adottare una policy basata su tre pilastri: investimenti nell’educazione, investimenti nelle istituzioni che si occupano del lavoro, investimenti per la creazione di lavoro decente e sostenibile. E per quanto riguarda, in particolare, l’educazione, secondo l’Ilo occorre stabilire che esiste un diritto universale all’istruzione per tutta la vita che consenta alle persone di affrontare i cambiamenti radicali e continui che la transizione è destinata a generare. Con un corollario, che Giovannini ha fatto notare parlando alla Biennale della Cooperazione: occorrerà rimettere in discussione i motivi che rendono difficile contabilizzare come investimenti i denari destinati all’educazione. Quei denari, in effetti, generano conseguenze sulla crescita maggiori delle spese per consumo, proprio come gli investimenti. Se i decisori ne fossero consapevoli potrebbero scegliere più facilmente questo tipo di impiego.
Articolo pubblicato su Nòva il 3 febbraio 2019