Le responsabilità dei tecnologi

La questione dell’informazione è giunta a un nuovo bivio strategico: si trova nel punto di convergenza della tecnologia con il suo senso. Il posto della tecnologia nella società non è più soltanto nella sfera dell’efficienza, ma anche in quella della responsabilità. O almeno è quello che si evince dal dibattito sempre più acceso intorno alle vicende che coinvolgono alcune delle tecnologia più utilizzate sul pianeta. Mentre Google ha preso la terza mega multa dell’Antitrust di Bruxelles, Facebook non esce dal mirino dei critici. «Esattamente gli stessi strumenti che fanno di Facebook una fantastica piattaforma per gli inserzionisti pubblicitari possono essere usati per fare del male». Roger McNamee lo scrive nel suo libro appena uscito: “Zucked” (Penguin 2019). È la storia scritta da uno dei primi investitori nel social network, un amico e un fan della piattaforma per un decennio, uno dei primi che aveva avvertito il capo di Facebook del rischio che il social network diventasse un pericolo invece che un beneficio per la società se non ai prendevano provvedimenti per evitare che la capacità persuasiva – e in molti sensi manipolatoria, dice McNamee – del social network venisse utilizzata dai nemici della democrazia. E che ha deciso di raccontare come il vertice di Facebook abbia rifiutato di prendersi le sue responsabilità.
Non c’è dubbio che esista un pregiudizio molto diffuso secondo il quale i tecnologi si limitano a produrre strumenti in modo indifferente alle finalità di chi li usa: secondo questo approccio, la responsabilità di compiere il “bene” o il “male” è di chi agisce usando quegli strumenti. Ma è anche vero che se la forma e la struttura degli strumenti è tale da persuadere le persone a usarli in un certo modo, influenzando il loro comportamento, allora una forma di responsabilità potrebbe essere attribuita anche a chi li ha progettati in quel modo. E secondo McNamee questo è proprio il caso di Facebook.
La questione è difficilmente sopravvalutabile. Il digitale è la nuova risorsa strategica, è al centro delle dinamiche fondamentali per la geopolitica, la guerra, la pace, lo stesso gioco democratico all’interno dei paesi. È digitale una fonte primaria dell’accelerazione economica, sono digitali le armi per conquistarla e difenderla, è digitale il terreno stesso nel quale si gioca la partita per il suo controllo.
Ebbene: il digitale è la tecnologia fondata sul trattamento dell’informazione e il paradigma in base al quale questa tecnologia viene sviluppata sta cambiando, probabilmente anche perché sta cambiando il ruolo dell’informazione. Nel 1948, Claude Shannon pubblicò sul suo fondamentale saggio sulla teoria matematica della comunicazione nel quale propose il concetto di “bit”, l’unità minima di informazione, quella che risponde alla domanda: “sì o no?”. Concetto essenziale per tutta la storia informatica, il bit meritava una precisazione: diceva Shannon che «l’informazione talvolta ha un significato, ma per i tecnici non è importante». È proprio questa idea di tecnologia senza pensieri per il suo significato che oggi viene messa in discussione.
Articolo pubblicato su Nòva il 24 marzo 2019