Luciano Floridi e la convergenza di epistemologia ed etica

Lo Sri Lanka chiude i social network per combattere le violenze conseguenti agli attacchi terroristici della scorsa settimana: gli osservatori si dividono tra chi applaude e chi grida alla censura. Gli Stati Uniti chiedono l’estradizione di Julian Assange, fondatore di Wikileaks: ci si chiede se sia un attacco alla libertà di espressione o un atto di controspionaggio. Facebook cerca timidamente di cominciare a pensare alla qualità dell’informazione che trasmette e a rispettare in qualche modo la privacy dei suoi utenti, dopo avere lavorato per anni senza tener in alcun conto né la prima né la seconda: gli esperti pensano che dovrebbe seguire regole più stringenti ma si dividono al momento di suggerirle. Il labirinto etico che si è sviluppato nel mondo della rete monopolizzata dalle grandi piattaforme sembra insolubile.
C’è bisogno di fare un salto culturale gigantesco. Che certamente non si compirà soltanto per via tecnologica o finanziaria. Anzi, proprio in un contesto storico dominato dall’esplosione delle opportunità offerte dalla tecnica, emerge il bisogno di una rinnovata consapevolezza umanistica. Luciano Floridi ci lavora da una vita. Una conversazione con il filosofo dell’informazione, nelle mitiche stanze dell’Exeter College di Oxford, è un’esperienza preziosa.
Floridi è il pensatore più citato del dipartimento di filosofia di Oxford. È membro dello “High-level expert group on artificial intelligence” voluto dalla Commissione europea. È regolarmente chiamato a risolvere problemi etici per Google, Tencent, Microsoft, Facebook. Ibm gli ha conferito il Thinker Award. Exeter gli ha dato una professorial fellowship in quanto pioniere della filosofia dell’informazione ed esploratore dell’etica dei dati e dell’intelligenza artificiale. Ma che cosa sarebbe successo se quel giorno di non poi tantissimi anni fa, a Prima Porta, un borgo rurale sulla Flaminia a nord di Roma, la nonna di Luciano Floridi non avesse mostrato al nipote un trafiletto pubblicato dalla Repubblica che segnalava come una fondazione culturale italiana offrisse una borsa per andare in Inghilterra a studiare? «Tu che vai bene a scuola, provaci». E lui, esitante, provò. E vinse.
Erano gli anni Ottanta inoltrati. Roma continuava la sua lenta espansione nella sua campagna, mentre Floridi ogni giorno – come ai tempi del liceo, il Lucrezio Caro – risaliva verso il centro con il treno che lo portava all’università. Aveva scelto filosofia. Il padre – medico di famiglia, a sua volta figlio di medico e nipote di medico – lo aveva incoraggiato: «Il mio mestiere non è più quello di una volta». Un filosofo, intendeva dire, può curare meglio le anime di quanto un medico possa curare i corpi. Fu anche grazie a quel discorso che arrivò a scegliere fra le sue tre materie preferite: matematica, economia e, appunto, filosofia. E fu grazie a quella borsa che si orientò definitivamente verso l’Inghilterra che aveva frequentato ogni estate per impararne la lingua. Aveva sviluppato un’attrazione tanto grande per Oxford che, dall’età di 19 anni, portava sempre in tasca una piantina della città dell’università più antica d’Inghilterra. Quella piantina-talismano, oggi, si trova incorniciata nello scaffale della libreria (foto) dove Floridi tiene i suoi riconoscimenti scientifici, i suoi trofei sportivi, le copie dei suoi libri tradotti tra l’altro in cinese, italiano, tedesco, olandese. Al numero 41 di St. Giles, dove lavora all’Oxford Internet Institute.
Con la nonna e il padre nella memoria, la borsa e la piantina in tasca, Floridi lavora alla tesi in Inghilterra, torna a Roma per laurearsi con il massimo dei voti alla Sapienza, si guadagna l’accesso a un master e riparte immediatamente per l’Inghilterra. È concentrato sullo studio della logica, dell’epistemologia e del pensiero pragmatico americano. Lo studio si trasforma in un percorso intensissimo di ricerca, che viene riconosciuto dai docenti inglesi per la sua qualità, tanto da consentirgli in due anni di ottenere un master, un dottorato e un malanno da malnutrizione.
Ed è in Inghilterra che Floridi scopre internet. È un incontro trasformativo. Immergendosi nella rete, la sua epistemologia subisce una mutazione: in internet tutto è informazione, comprese le relazioni tra le persone, quindi la realtà che circola in rete è la conoscenza stessa; e il filosofo osserva come l’elaborazione, la memorizzazione e la comunicazione dell’informazione seguano i canoni incardinati nei codici e nei protocolli che costituiscono l’infrastruttura digitale della rete, che a sua volta è costruita in base ai valori dei suoi progettisti. «Epistemologia ed etica sono due lati dello stesso foglio» conclude Floridi. Ma tutto questo trasforma anche l’etica. Se internet è l’ecosistema dell’informazione, i valori etici da discutere sono quelli che si affermano nel momento in cui se ne disegnano le strutture fondamentali: sicché l’etica diventa “la cura dell’ecosistema”.
È la sfida concettuale della contemporaneità. Il dibattito etico si sposta dal discernimento sulle singole scelte d’azione al discorso intorno alle qualità dell’ecosistema che abilita, incentiva e fa crescere le informazioni nella rete e indirizza le scelte degli umani. Dalla conoscenza si passa all’azione, insomma, e le conseguenze sono fondamentali. Il filosofo dell’epistemologia diventa combattente dell’etica. «Non basta porsi le domande giuste» dice Floridi «occorre avere il coraggio di trovare risposte». Ma le risposte facili non esistono. «Le idee sono cristalli delicati» avverte il filosofo. È legittimo cercare di discernere le buone idee in relazione a valori universali. «Le frasi costruite per conquistare attenzione immediata non hanno valore. Io cerco la durata. Cerco idee che si possano leggere tra cent’anni». Esiste un metodo della discussione filosofica. «Si può sviluppare una teoria della filosofia come concept design» dice Floridi. «Il suo scopo è la consapevolezza. Cioè la libertà di migliorare le idee». È una dinamica della comprensione di ciò che è importante. «E, nell’ecosistema, ciò che è importante si trova nella relazione». E questo si applica anche all’etica della tecnologia: «Il criterio per l’etica dell’intelligenza artificiale? La scelta giusta è quella migliora le relazioni tra le persone: non è quella che fa bene a uno o all’altro, ma quella che fa bene ma a tutti».
È la questione del millennio, nell’epoca del riscaldamento globale, delle guerre a base di fake news, delle preoccupazioni sulle intelligenze artificiali zeppe di pregiudizi che potrebbero sostituire gli umani in decisioni strategiche. Non è facile per nessuno. Nel marzo scorso, per esempio, Google aveva pensato di affidarsi a un comitato etico. «Ho accettato con piacere» ha scritto Floridi su Facebook «perché credo che l’autoregolamentazione e la regolamentazione debbano lavorare insieme». Ma poi si è scoperto che Google aveva chiamato a far parte del comitato anche Kay Coles James, presidente della Heritage Foundation. «James sostiene opinioni legittime ma che io so essere scientificamente inesatte e eticamente sbagliate». In effetti, James nega il cambiamento climatico e combatte l’avanzamento dei diritti di genere. «Non riesco a immaginare opinioni più lontane dalle mie» commenta Floridi. Probabilmente Google si era rivolta anche a James per creare diversità nel comitato, ma ha sbagliato, perché ha reso insensato il comitato stesso. Di fronte a quella notizia, un altro membro del comitato, Alessandro Acquisti, che insegna informatica e policy alla Carnegie Mellon University, si è dimesso. Floridi ha tentato di tenere duro ma senza limitare le critiche: «Dobbiamo combattere. Una volta che l’intolleranza ottiene un palcoscenico per farsi sentire, abbandonare la battaglia è un lusso che non possiamo permetterci». È finita che Google ha rinunciato a tutto il comitato etico. «Un’opportunità persa».
Anche il giudizio di Floridi sulla chiusura dei social network in Sri Lanka è da leggere: «In casi estremi, bloccare i social network, quando c’è il reale rischio che creino una escalation della violenza, può essere inevitabile. Nel caso dello Sri Lanka ho due riserve. Da un lato non è chiaro se il blackout serva: potrebbe essere una misura tardiva, esagerata, e inefficace. Dall’altro, doveva essere accompagnato dall’annuncio della sua durata: altrimenti si rischia di strumentalizzare una tragedia per fare censura». Nell’etica per l’ecosistema la difficoltà non è tanto sapere che cosa è giusto ma definire criteri che possano fare emergere ciò che è giusto in un contesto evolutivo complesso. La ricerca prosegue. E coinvolge tutti.
Articolo pubblicato sul Sole 24 Ore il 28 aprile 2019