I podcast sono attraenti. E stanno trovando di questi tempi una rinnovata attenzione. Ma poiché nel corso della loro storia hanno subito diverse false partenze, vale la pena di ragionare intorno all’ipotesi secondo la quale questa volta è davvero possibile che arrivino a conquistare una nicchia importante nell’ecosistema mediatico. Non tanto nella loro funzione di programmi radiofonici registrati e ascoltati in differita e, tantomeno, come audiolibri, quanto piuttosto come storie nativamente costruite per questo mezzo.
Le chiavi del discernimento non sono mai troppo oggettive in questo contesto. La tecnologia digitale ha aumentato la complessità della mediasfera, l’ambiente culturale che si sviluppa con l’insieme dei media di comunicazione. E tutti gli elementi della mediasfera sono interconnessi, complicando l’interpretazione: si pensi al problema dell’ascesa e dell’erosione della domanda di ebook, alle conseguenze editoriali del passaggio dal download allo streaming, oppure alla relazione instabile tra pubblicità e editoria d’informazione. Dal punto di vista economico, nel mondo analogico la risorsa scarsa era lo spazio per pubblicare storie: nel mondo digitale, lo spazio non è scarso e la risorsa strategica scarsa è il tempo del pubblico. Il controllo della scarsità nel mercato è passato dall’offerta alla domanda. Questo è avvenuto su piattaforme che hanno conquistato il tempo del pubblico concentrando le operazioni di selezione dell’accesso alle informazioni rilevanti e sono riuscite a spiazzare i detentori delle vecchie tecnologie, ridefinendo l’intermediazione tra i generatori di storie e gli inserzionisti pubblicitari e insieme creando funzioni più coinvolgenti per il pubblico, per arrivare a conquistare il potere nella mediasfera.
Tutto questo ha aumentato l’impegno a cercare di servire meglio il tempo del pubblico. Da un lato i generatori di storie e gli inserzionisti pubblicitari hanno cercato il pubblico con tutti i mezzi, sfruttando la logica crossmediale del mondo digitale. Dall’altro lato, il pubblico ha imparato a “ottimizzare” l’uso del tempo, accedendo a più media contemporaneamente – per esempio guardando la televisione e insieme commentando sui network sociali – oppure usando i media mentre si svolgono altre attività – per esempio, facendo sport mentre si ascolta la musica, oppure guidando l’auto mentre si ascolta la radio, e così via. Il linguaggio audio si presta bene, in effetti, a quest’ultima strategia di ottimizzazione del tempo. E non per niente, lo sviluppo dei media audio sembra anticipare alcuni aspetti dell’evoluzione dell’ecologia dei media. La storia mostra come i temi fondamentali per immaginare il successo di un mezzo sono almeno tre: la motivazione qualitativa che spinge il pubblico verso quel mezzo, la facilità d’uso, il richiamo dell’attualità o della socialità.
Ebbene. Storicamente, i podcast si sono dimostrati potenzialmente molto interessanti sul piano delle motivazioni di qualità, sono stati a lungo considerati un po’ troppo complicati da usare ed essendo usati meno di altri strumenti hanno goduto poco dell’effetto rete che si impone sull’attenzione, sull’attualità, sul passaparola. I dati Nielsen sembrano indicare che l’aumento degli utenti – oltre i 2,7 milioni – potrebbe avviare a soluzione l’ultimo problema. I modelli di business e le forme di fruizione sono ancora da affinare. Forse ci vuole ancora pazienza, ma se si persegue la qualità, la strada si potrebbe finalmente spianare. Da Veleno a Wikiradio, da Radici a Morgana e a molti altri, gli esempi non mancano anche in Italia. E il festival del podcast che si svolge in questi giorni a Camogli è un buon augurio.
Articolo pubblicato su Nòva il 9 giugno 2019
Foto: Camogli