Editing dei geni: nel breve e nel lungo termine

In uno di quei momenti intellettualmente riusciti bene, nei quali viene pronunciata una frase che riesce a sintetizzare una questione complessa in modo particolarmente efficace, Roy Amara, ex direttore dell’Institute for the Future, disse: «Tendiamo a sovrastimare gli effetti di una tecnologia nel breve termine e a sottostimare i suoi effetti nel lungo termine». Non è solo vero perché il cervello serve a reagire molto più spesso che a ragionare. È vero anche perché la tecnologia segue una curva evolutiva – tutt’altro che banalmente configurata come un’esponenziale – che tiene conto di molteplici fenomeni, tecnici, economici, culturali, sociali, ecologici: in una prima fase, se la tecnologia trova attenzione sembra destinata a impatto immediato, sulla scorta del convincimento quasi ideologico di chi sostiene che quella tecnologia cambierà il mondo, dell’adozione di criteri narrativi particolarmente efficaci che la fanno apparire particolarmente motivante e semplice da adottare e che quindi convincono molte persone ad accettare in modo acritico la convinzione del suo inevitabile successo, del costo basso e il valore potenziale alto, e così via; successivamente, la tecnologia può deludere le più rosee aspettative e quindi essere considerata un fallimento; infine, in qualche caso, diventa davvero importante e nonostante le esagerazioni, positive all’inizio e negative in seguito, viene adottata e si dimostra davvero importante. Questa curva, usata soprattutto dalla società di ricerche Gartner, appare piuttosto efficace per qualificare quanto intuito da Amara.
Il Crispr-Cas9 ha superato la fase dell’entusiasmo positivo. La tecnologia più promettente e meno costosa per il “gene editing”, cioè per la modifica di precisione del Dna, ha convinto moltissimi imprenditori a lanciare una startup che la utilizza e attirato ingenti capitali di rischio. Il suo impatto immediato è stato sovrastimato. Ora ci si accorge – come segnalato da Science – che quella tecnologia fa molti errori, non tanto nel tagliare un pezzo di Dna quanto nel sostituirlo con un altro pezzo di doppia elica. La tecnologia poi pare responsabile di mutazioni collaterali e impreviste. I laboratori che l’hanno riscontrato sono molti, da Boston alla California e alla Cina. Questo potrebbe generare effetti collaterali molto pericolosi e inaccettabili se la tecnologia fosse usata negli umani. Si sta indagando intorno alla possibilità di correggere questo difetto. Ma a questo punto ci si può aspettare un rallentamento a breve termine della corsa all’utilizzo del Crispr-Cas9 nelle applicazioni più vicine al corpo umano. Il che conferma la prima parte della sintesi di Amara. Ma che cosa succederà nel lungo termine? L’elaborazione del Dna è ovviamente una possibilità troppo grande per abbandonarla. Ma ora dovrebbe cominciare a entrare in gioco il lato non solo tecnico-economico, ma anche e sopratuttto sociale e valoriale dell’innovazione. Questa è la dinamica che richiede più tempo, ma che è dirimente nella definizione dell’impatto reale di una tecnologia. Se i valori alla fine coincideranno con le possibilità, l’impatto di una tecnologia come questa sarà enorme. Discutere di etica, cultura, valori è parte integrante del processo dell’innovazione: che non si limita all’invenzione e avviene solo nell’adozione.
Articolo pubblicato su Nòva il 7 luglio 2019